2.4 Le miniere e le industrie
In campo industriale il '500 non registrò alcun cambiamento significativo nel settore fondamentale, quello dell'
energia. La produzione industriale di quest'epoca, infatti, continuava a utilizzare le tradizionali fonti di energia: quella umana, quella animale, l'acqua, il vento, la legna. L'uso del carbone minerale restò per il momento limitato principalmente al riscaldamento domestico, anche se non mancavano alcune importanti applicazioni industriali (per esempio nelle saline, nei panifici, nelle fabbriche di laterizi, nelle vetrerie). L'estrazione del carbone fu intensa nei bacini carboniferi inglesi, dove aumentò progressivamente durante tutto il secolo, passando dalle circa 200.000 tonnellate all'anno verso la metà del '500 al milione di tonnellate del 1620. Il massiccio uso di carbone nelle abitazioni e nelle manifatture fece di Londra la più sporca delle città europee, anticipando di qualche tempo il destino di tante altre città moderne.
L'intensificata richiesta di carbone minerale - destinato ad assumere un'importanza fondamentale nello sviluppo economico dei secoli successivi - provocò lo sfruttamento di vene sempre più profonde e il perfezionamento delle
tecniche estrattive: trivelle più potenti, sistemi di ventilazione, di pompaggio, di sollevamento, nastri trasportatori azionati da cavalli, sistemi di armatura per puntellare le gallerie, ecc. In questo settore la tecnologia tedesca era all'avanguardia e veniva esportata in tutta Europa. Il ritmo incessante dell'attività estrattiva richiedeva inoltre nuove forme di organizzazione del lavoro: sappiamo che nelle miniere tedesche la giornata era divisa in tre turni di sette ore ciascuno, con sole tre ore di pausa, e che gli stessi minatori venivano talvolta impiegati anche per due turni.
Anche altri minerali erano estratti in misura rilevante: il ferro, estratto nelle importanti miniere spagnole di Biscaglia e del Guipuzcoa, oltre che in Germania, in Stiria, in Inghilterra, in Francia, in Svezia e nel Principato di Liegi; il rame, proveniente in larga parte dai giacimenti svedesi e ungheresi che - oltre a essere lavorato artigianalmente e industrialmente - serviva per il conio delle monete di minor valore; l'argento, estratto soprattutto in Germania e in Ungheria, che fu oggetto di una richiesta sempre più intensa. L'argento europeo fu però soppiantato, verso la metà del secolo, dall'argento americano, più abbondante e a buon mercato (come si ricorderà, nelle miniere americane veniva infatti impiegata, in condizioni durissime, manodopera indigena, che non costava quasi nulla). Molto richiesto era anche l'allume, utilizzato, tra l'altro, per la concia dei pellami, per dissalare il baccalà, per la lavorazione di alcuni vetri e soprattutto come materiale indispensabile all'industria tessile: serviva infatti come mordente prima della tintura, e la sua funzione era insostituibile. Tradizionalmente l'allume veniva importato a basso prezzo dall'Oriente, ma l'espansione ottomana (
1.1) rese il suo costo proibitivo. Si cercarono quindi nuovi giacimenti, e nella nostra penisola, poverissima di tutti gli altri minerali, furono individuati importanti giacimenti di allume a Tolfa, nei possedimenti pontifici; l'allume di Tolfa, abbondante e di ottima qualità, veniva venduto ovunque, garantendo cospicue entrate alle finanze papali; il minerale veniva convogliato nei due porti di Orbetello e Talamone, e di lì trasferito a Civitavecchia, dove veniva esportato. Un'importanza sempre fondamentale aveva il sale, prodotto indispensabile per conservare derrate deperibili come il pesce, il burro, la carne. Le saline, sparse in tutta Europa, erano di due tipi: saline marittime dove il minerale si produceva per evaporazione, e miniere di salgemma.
Alla intensificata attività estrattiva corrispondeva l'espansione delle
fonderie e degli
altiforni. L'altoforno, inventato in Germania nel XV secolo, consisteva in un forno interamente murato in cui il minerale veniva deposto su strati di carbone di legna acceso e attizzato da giganteschi mantici, solitamente di cuoio, azionati dall'energia idraulica. In questo modo, mediante fusione, si otteneva la ghisa. Il minerale passava poi nelle fonderie, dove i magli o i martelli idraulici battevano i lingotti e le sbarre di ferro incandescente. I maggiori produttori di ferro erano la Spagna, la Germania, la Francia, la Svezia e l'Inghilterra. Per alimentare gli altiforni occorrevano enormi quantitativi di legna, e di conseguenza intere regioni europee persero i loro manti boschivi. In Inghilterra il disboscamento fu estesissimo e portò a un uso sempre maggiore del carbon fossile.
L'accresciuta produzione di ferro consentì l'impianto e lo sviluppo di numerose industrie metallurgiche di trasformazione, a cominciare da quelle di materiale bellico. In questo settore erano molto apprezzate le fabbriche tedesche e italiane: agli inizi del '500 Brescia contava già 200 piccole fabbriche di armi, dove lavoravano in media un capomastro e tre o quattro operai. È questa l'epoca in cui si affermano le famose coltellerie inglesi di Sheffield e quelle tedesche di Solingen, dove nel 1525 si producevano centomila lame alla settimana.
Dal punto di vista quantitativo la metallurgia era ancora un'attività modesta e la maggior parte delle unità produttive forniva soltanto alcune decine di tonnellate di metallo lavorato all'anno, mentre il numero degli addetti non ammontava, in tutta Europa, che ad alcune decine di migliaia. Ma la sua espansione nel corso del '500 ha una sua rilevanza qualitativa. La metallurgia aveva infatti bisogno di personale specializzato e stimolava l'acquisizione di nuove tecnologie. Cosa ancora più importante, essa richiedeva enormi investimenti di capitali, quanto nessuna altra industria. Proprio per questo alcuni storici vedono nelle industrie metallurgiche cinquecentesche i lontani albori dell'industria moderna.
La più grande industria dell'epoca era sempre l'
industria tessile: cardatori, follatori, tessitori, filatrici, setai, drappieri e tintori si contavano in centinaia di migliaia e rappresentavano la manodopera industriale più numerosa e organizzata, anche se molti di loro erano soltanto contadini-operai, che dedicavano una parte della loro giornata al lavoro dei campi e la rimanente alla tessitura. Spesso la lavorazione veniva effettuata a domicilio: gli imprenditori consegnavano la materia prima presso il domicilio dei lavoranti e passavano poi a ritirare il prodotto semilavorato e finito. I tessuti erano il prodotto maggiormente commercializzato - più ancora dell'alimento di base, il grano - e non c'era paese europeo che non ne producesse. Alcune regioni erano però più specializzate e rinomate di altre. Nell'industria laniera primeggiava sempre l'Italia: Milano, Como, Bergamo, Pavia, Brescia e Firenze ne erano i centri maggiori. I due sistemi di produzione - nell'opificio o a domicilio - coesistevano, oppure si integravano: "A Firenze - ha scritto B. Bennassar - i due sistemi sono complementari. L'Arte della lana, che acquista la lana grezza delle Puglie, della Castiglia, della Borgogna e della Champagne, e la fa lavare, cardare e pettinare nei lavatoi e negli opifici dell'Arte con attrezzi prodotti in Lombardia, dà lavoro a 30.000 persone circa, in città e nei dintorni. I Medici, ad esempio [...] hanno i propri opifici dove gli operai sono soggetti a una disciplina severissima e lavorano sorvegliati da capitecnici con orari scanditi dal suono di una campana. La filatura e la tessitura vengono invece eseguite a domicilio, la filatura principalmente in campagna da manodopera femminile e la tessitura in città da artigiani qualificati. La tintura, infine, per la quale Firenze importa i coloranti migliori e l'allume di Tolfa, torna a essere eseguita nell'opificio. Factory system e domestic system si avvicendano così secondo le fasi della lavorazione. L'organizzazione del lavoro presuppone però un capitalismo già evoluto, tendenzialmente monopolistico, sotto la direzione dei Medici".
L'altro grande centro della produzione tessile erano, come si ricorderà, i Paesi Bassi, e particolarmente la Fiandra. Si trattava di una produzione di altissima qualità, che manteneva intatte le antiche tradizioni corporative. L'attaccamento a queste tradizioni e il rifiuto di ammodernarsi provocò tuttavia seri danni alla produzione di Fiandra, duramente colpita dalla vivace concorrenza inglese. Ma le trasformazioni, alla lunga, s'imposero, e le guidarono i commercianti di Anversa: una nuova organizzazione di tipo capitalistico fu impiantata nelle campagne e in piccole città, dove le vecchie pastoie dei regolamenti corporativi erano assenti o meno forti. La nuova produzione, che rilanciò l'industria tessile dei Paesi Bassi, non si basava più su tessuti di alta qualità e quindi costosi; ma su tessuti leggeri e a buon mercato, destinati a un pubblico molto vasto. L'integrazione politica dei Paesi Bassi alla Spagna consentiva inoltre un ciclo produttivo integrato su lunga distanza: la lana prodotta dagli allevatori iberici veniva convogliata a Burgos e in altri porti e di lì trasferita nei Paesi Bassi, dove veniva lavorata ed esportata come prodotto finito.
L'Italia era all'avanguardia anche nella produzione della seta. Il Regno di Napoli produceva grandi quantità di seta grezza che in parte veniva lavorata sul posto, in parte esportata verso altri centri. Le più importanti seterie si trovavano a Genova, Firenze, Venezia, Milano, Como, Lucca, dove si producevano tessuti raffinatissimi (come i filati di seta, oro e argento di Milano o i velluti di seta genovesi) richiesti in tutta Europa. La produzione di seta era notevole anche in Spagna, dove eccellevano gli artigiani moriscos a Granada, Valencia e Toledo, e in Francia, dove la seteria conobbe nel '500 una diffusione rapidissima. La Francia era anche una grande produttrice di tele, che venivano lavorate soprattutto in ambiente rurale, utilizzando materie prime (canapa e lino), prodotte talvolta dall'artigiano stesso sui propri campi. La Germania si specializzò invece nei tessuti di fustagno, che sostituirono quelli di lana, divenuti troppo costosi.
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