18.7 Sommario
La colonizzazione inglese del Nord America, iniziata al principio del '600 e costantemente legata ad un'aspra lotta contro gli indiani, fu il prodotto dell'iniziativa di compagnie commerciali e dell'emigrazione di minoranze politiche e religiose (anzitutto i puritani). Alla metà del '700 i possedimenti inglesi comprendevano tredici colonie, tutte sulla fascia costiera atlantica. L'economia delle colonie del Nord si fondava sulla coltivazione dei cereali e, nei centri urbani, su una vivace attività commerciale e cantieristica. Nel Sud prevalevano le piantagioni di tabacco, con grandi proprietà basate sul lavoro degli schiavi. Nel Centro, l'economia presentava un quadro differenziato e gli squilibri sociali erano più marcati. Per tutte le colonie alla forte dipendenza economica dalla Gran Bretagna faceva riscontro una notevole autonomia sul piano politico.
I vincoli delle colonie con la madrepatria erano sempre stati strettissimi. Il contrasto da cui ebbe origine la lotta per l'indipendenza nacque, negli anni '60 del secolo XVIII, in seguito alla decisione della Gran Bretagna di far pagare in misura crescente alle colonie i costi del proprio impero americano (che, dopo la guerra dei Sette anni, si estendeva dal Canada alla Florida). I coloni affermavano il principio che ogni tassa dovesse essere approvata da un'assemblea in cui fossero rappresentati i diritti dei tassati (e non era questo il caso del Parlamento britannico). Su tale base la protesta si andò sempre più orientando verso la rivendicazione dell'indipendenza.
Nel 1774, dopo dure misure di ritorsione inglesi, la ribellione divenne aperta. Nel 1775 si formò un esercito di coloni, sotto il comando di Washington; l'anno successivo il Congresso continentale approvò la Dichiarazione d'indipendenza. Sul piano militare le colonie avevano un netto svantaggio rispetto alle truppe inglesi, e inoltre erano divise al loro interno; notevoli anche i problemi finanziari della guerra contro la Gran Bretagna. Poterono tuttavia valersi della solidarietà dell'opinione pubblica europea e, soprattutto, dell'intervento in loro favore di Francia e Spagna. Nel 1783 la Gran Bretagna riconobbe l'indipendenza delle tredici colonie.
Nel 1787 una Convenzione costituzionale dette vita ad uno Stato federale, e ad un sistema politico di tipo presidenziale basato sulla divisione e l'equilibrio dei poteri. Il presidente della Repubblica era a capo dell'esecutivo e indipendente dal legislativo (esercitato dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato); il potere giudiziario era posto sotto il controllo di una Corte suprema. La Costituzione doveva però essere approvata dai singoli Stati dell'Unione: in questa fase si sviluppò un acceso dibattito tra federalisti (che erano favorevoli ad un forte potere centrale ed esprimevano gli interessi di commercianti, industriali e grandi proprietari terrieri) e antifederalisti (che esprimevano le esigenze dei ceti medio-bassi ed erano portatori di posizioni democratiche e "ruraliste"). Prevalsero le tesi federaliste, pur se mitigate dall'approvazione di dieci emendamenti alla Costituzione. Nel 1789 Washington fu eletto presidente.
Negli anni successivi, la politica economica di Hamilton, leader dei federalisti, suscitò l'opposizione dei proprietari del Sud e dei coloni dell'Ovest, che trovarono un punto di riferimento nel partito repubblicano-democratico, il cui esponente più autorevole fu Jefferson. Contemporaneamente si precisavano i criteri dell'espansione verso ovest: le regioni di nuova colonizzazione acquisivano lo status di "territori" per poi trasformarsi, raggiunti i 60.000 abitanti, in Stati dell'Unione.
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