8.5 Rafforzamento dello Stato e monarchie assolute
Con la politica interna dei due grandi ministri Olivares e Richelieu prese avvio, in Spagna e in Francia, benché con esiti diversi, una fase decisiva in quel processo di rafforzamento dello Stato (p. 189) che era in atto ormai da due secoli. Un processo che non riguardò solo le due maggiori monarchie continentali, ma che aveva investito anche l'Inghilterra, ed era stato anticipato nei principati della penisola italiana. Lo
Stato moderno, che si costituì in questo periodo, era un'organizzazione politica accentrata e assoluta, e la sua formazione è segnata dalla progressiva accentuazione di questi due caratteri basilari.
Gli storici sostanzialmente concordano nell'individuare nei conflitti fra le monarchie e nelle conseguenti necessità militari l'impulso iniziale che mise in moto la trasformazione delle istituzioni politiche. L'esigenza di disporre di un esercito permanente rese necessario un flusso costante di entrate, che solo un'estesa fiscalità poteva assicurare e che solo un'amministrazione ben organizzata poteva controllare. Contemporaneamente gli Stati si dotarono di apparati coercitivi, e dunque di istituzioni giudiziarie, indispensabili, fra l'altro, per garantire un'uniformità di applicazione del prelievo fiscale su tutto il territorio nazionale.
Esercito permanente, fisco, burocrazia e apparati coercitivi definiscono i contorni di una nuova struttura statale, che si contrappone alla frammentazione dei poteri di origine feudale. Una struttura accentrata intorno alla figura del sovrano, che detiene un potere del tutto indipendente e quindi "assoluto" (ossia sciolto da ogni vincolo). Accentramento e assolutismo non sono solo le condizioni dell'esercizio del potere negli Stati moderni, ma rappresentano anche il risultato di un lungo processo costitutivo.
La formazione dello Stato moderno coincide dunque con lo sviluppo delle
monarchie assolute ed è costantemente accompagnata dalla lotta per il ridimensionamento politico della nobiltà tradizionale: una lotta che, nelle sue fasi iniziali, vide le monarchie allearsi ai ceti cittadini e mercantili. Ma in un periodo successivo anche le città dovranno rinunciare alle loro antiche "libertà", cedendo alla spinta uniformatrice dello Stato.
Se le monarchie riuscirono nell'intento di ridurre le autonomie politiche, non misero tuttavia in discussione il sistema dei privilegi fiscali (corrispondente di fatto all'esenzione dal pagamento delle imposte) di cui godevano i ceti nobiliari e che costituiva il fondamento della gerarchia sociale. Favorirono invece, in funzione del consolidamento del proprio potere e come alternativa alla nobiltà, la creazione, attraverso la vendita delle cariche, di un nuovo ceto burocratico. La burocrazia dei funzionari - di estrazione borghese e di formazione giuridica - fu indispensabile all'amministrazione giudiziaria e fiscale. Il sistema della venalità delle cariche, vendute in sempre maggior numero per incrementare le entrate, divenne tuttavia un limite all'assolutismo del potere regio: la sostanziale privatizzazione, che l'ereditarietà istituiva, negava infatti allo Stato la prerogativa di poter rimuovere o sostituire i funzionari. In Francia (e più tardi anche in Spagna) questi limiti vennero superati con l'istituzione delle nuove figure degli intendenti (
8.4). Ma in generale la venalità delle cariche rappresentò un'importante via di ascesa sociale per i ceti borghesi, un'ascesa sociale che si realizzò all'interno della cornice istituzionale della monarchia assoluta e che costituì, nonostante alcune accese fasi conflittuali (per es., la Fronda parlamentare in Francia:
9.5), uno degli elementi portanti dello Stato moderno.
Il processo di rafforzamento dello Stato fu accompagnato, fra la fine del '500 e gli inizi del '600, da un'importante riflessione teorica volta a definire i caratteri della "sovranità" e della "ragion di Stato". Al francese
Jean Bodin (1530-96), autore dei Sei libri della Repubblica (1576) è dovuta la più chiara e completa trattazione della sovranità, intesa come "quel potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato" e che si manifesta nel "fare e disfare le leggi". Il potere del sovrano è assoluto, ma non arbitrario (e in questo si distingue dal dispotismo):
Il principe non è vincolato dalle leggi sue o dei suoi predecessori: ma dai giusti patti e dalle giuste promesse che ha fatto, sia con giuramento sia senza giuramento, così come lo sarebbe un privato. E per le stesse ragioni per cui un privato può essere sciolto da una promessa ingiusta o irragionevole o troppo gravosa, per il fatto di essere stato tratto fuori strada da inganno, frode, errore, violenza, timore motivato o gravissima offesa, il principe può essere esentato da tutto quello che comporta una menomazione della sua maestà, se è principe sovrano. Così si può fissare il principio che il principe non è soggetto alle sue leggi né a quelle dei suoi predecessori, ma lo è ai suoi patti giusti e ragionevoli, soprattutto se essi implicano l'interesse dei sudditi sia come singoli sia in generale.
Il sovrano può derogare alle leggi ordinarie, ma non certo alle leggi divine e naturali. Inoltre
Il principe non può derogare a quelle leggi che riguardano la struttura stessa del regno e il suo assetto fondamentale, in quanto esse sono connesse alla corona e a questa inscindibilmente unite (tale è, per esempio, la legge salica [quella che escludeva le donne dalla successione al trono]); qualunque cosa un principe faccia in proposito, il successore è in pieno diritto di abolire tutto ciò che sia stato compiuto con pregiudizio di quelle leggi su cui la stessa maestà sovrana poggia e si fonda.
In ambito italiano e controriformistico nacque, soprattutto con il libro Della ragion di Stato (1589) di
Giovanni Botero (1543 circa-1617), la trattatistica sulla ragion di Stato, cioè su quella che potremmo chiamare la norma dell'azione politica. Boterò rivendicava, contro Machiavelli, un adeguamento della politica ai dettati della morale cattolica. Ma presto la ragion di Stato si trasformò in giustificazione e legittimazione dell'operato dello Stato e di ogni tentativo volto a rafforzarne e a consolidarne la potenza: e con questo significato il concetto sarà impiegato in seguito.
L'evoluzione del sistema assolutista caratterizzò tutta la storia europea di questo periodo: e le situazioni conflittuali a cui diede luogo, nei singoli paesi, rappresentarono gli esiti politici più significativi della crisi del '600. Gravi tensioni interne si ebbero in Francia, Spagna e Inghilterra, approdando a un rafforzamento dell'assolutismo in Francia, a una crisi permanente in Spagna, al fallimento dell'ipotesi assolutista in Inghilterra (
9.1). L'Olanda rappresentò invece il più riuscito modello alternativo, mentre la guerra dei Trent'anni (
8.8) può essere considerata, per molti aspetti, un episodio del fallito tentativo di trasformare l'Impero germanico, nel suo insieme, in uno Stato moderno assoluto sotto l'egemonia degli Asburgo d'Austria.
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