19.5 La Repubblica e la guerra rivoluzionaria: 1792-93
La sospensione del re rendeva necessaria un'altra costituzione. Era questo uno dei compiti della nuova assemblea, la
Convenzione nazionale, eletta fra la fine di agosto e i primi di settembre 1792. Di fatto, dall'agosto 1792 al novembre 1795, il potere esecutivo fu esercitato in Francia da organismi straordinari e provvisori. Caratteristica precipua della rivoluzione era, del resto, quella di dare espressione istituzionale alle nuove forze politiche e sociali. Se il governo fu affidato a un Consiglio esecutivo provvisorio (che comprendeva i titolari dei ministeri), a Parigi si rafforzarono e allargarono i poteri della municipalità, costituitasi il 10 agosto come
Comune insurrezionale (e rimasta come tale in carica fino a novembre). Fu il Comune a tenere prigioniero Luigi XVI, a istituire un tribunale straordinario, a organizzare la vigilanza rivoluzionaria. E la mobilitazione politica si tradusse in esercizio diretto della sanzione punitiva.
Mentre le truppe prussiane premevano alle frontiere settentrionali, non meno pericolosi apparivano i nemici interni, come La Fayette che, dopo aver tentato invano di guidare le sue truppe contro la capitale, era emigrato. Il Comune di Parigi cominciò ad arruolare un'armata di volontari. In questa atmosfera eccezionale - resa più drammatica dalla notizia della capitolazione di Longwy e dell'assedio di Verdun, l'ultima piazzaforte prima di Parigi - si diffuse la voce, alimentata dai giornali più radicali, di un complotto controrivoluzionario che avrebbe avuto inizio nelle carceri. Dal 2 al 6 settembre '92 i sanculotti diedero l'assalto alle prigioni, che si erano colmate in agosto di "sospetti" - nobili e preti refrattari - e massacrarono indiscriminatamente da 1100 a 1400 prigionieri, colpendo in gran parte detenuti per reati comuni. I massacri di settembre, che le istituzioni subirono senza volerli o poterli arginare, dimostrarono le dimensioni e il potenziale di una realtà nuova e imprevedibile - il radicalismo dei sanculotti - con i quali da allora i gruppi politici della borghesia rivoluzionaria si dovettero misurare.
Forse la stessa componente di manicheismo primordiale e sovvertitore esplosa a Parigi, unita all'entusiasmo e alla passione rivoluzionaria, fu uno dei fattori che consentirono alle truppe francesi, innervate dai volontari, di battere i prussiani a
Valmy il 20 settembre 1792. Una vittoria più importante per il suo significato simbolico che per quello militare. Per la prima volta un popolo in armi sconfiggeva una grande potenza e dimostrava che anche sul campo di battaglia la rivoluzione poteva rovesciare l'ancien régime. Da allora guerra e rivoluzione tesero a identificarsi nel nome della nazione e del sentimento nazionale. Difesa della patria e espansionismo nazionale coincidevano ormai con la difesa della rivoluzione e delle sue conquiste. L'intuizione dei girondini divenne coscienza collettiva. "Con questa sintesi prodigiosamente precoce [...] fra messianismo ideologico e passione nazionale - ha scritto lo storico François Furet -, i francesi hanno, per primi, integrato le masse popolari e lo Stato, formando una nazione moderna".
Nello stesso giorno di Valmy si sciolse l'Assemblea legislativa (decretando la laicizzazione dello stato civile e l'introduzione del divorzio) e si riunì la Convenzione nazionale. Il 21 settembre la Convenzione dichiarò l'
abolizione della monarchia e il giorno successivo decise di datare i documenti pubblici con la dizione "anno I della Repubblica": per non anticipare la volontà del popolo la
repubblica nasceva con un artificio formale, senza una proclamazione ufficiale.
La Convenzione era stata eletta dalla sola Francia rivoluzionaria. Nonostante il suffragio universale, aveva votato infatti soltanto 1/10 circa degli oltre 7 milioni di elettori. Gran parte dei cittadini passivi, soprattutto in provincia, non avevano partecipato alle elezioni (benché ora ne avessero diritto), e moltissimi sospetti realisti ne erano stati esclusi. La Convenzione risultò costituita da un personale politico ormai esperto: la maggioranza proveniva infatti dalle amministrazioni locali e più di 200 deputati su 749 erano stati membri delle precedenti assemblee. L'assemblea fu egemonizzata agli inizi dai girondini (200 circa), ai quali si contrapponevano i deputati della "Montagna", i
montagnardi (un centinaio, fra i quali Robespierre, Danton, Marat), che sedevano in alto a sinistra (dalla posizione rispetto al presidente dell'assemblea ebbero origine i termini sinistra e destra). Al centro i deputati moderati costituivano la Pianura, chiamata anche, spregiativamente, Palude.
La lotta tra girondini e montagnardi contrassegnò la Convenzione dal settembre '92 al giugno '93. Il contrasto non traeva origine da una diversa appartenenza di ceto: i due gruppi erano formati da esponenti della media borghesia ed erano guidati entrambi da avvocati e giornalisti, pur se i girondini avevano maggiori legami con la borghesia imprenditoriale degli affari, particolarmente attiva nelle città portuali. Ma le vere differenze tra i due schieramenti, erano di natura politica ed ideologica, ed è possibile misurarle sulle due maggiori questioni del momento: il processo a Luigi XVI e il ruolo da attribuire a Parigi, al Comune rivoluzionario e al movimento dei sanculotti.
Durante il processo al re, celebrato alla Convenzione dal 10 dicembre '92 al 20 gennaio '93 - uno dei periodi più altamente drammatici della rivoluzione -, i girondini tennero un atteggiamento meno intransigente, non tanto sulla colpevolezza del sovrano (un'assoluzione avrebbe delegittimato gli stessi giudici), quanto sulla necessità di appellarsi al popolo per confermare la condanna. La colpevolezza fu decretata quasi all'unanimità, mentre l'appello al popolo venne respinto. Con 387 voti favorevoli e 334 contrari Luigi XVI fu condannato a morte. La richiesta di rinvio della esecuzione, avanzata da alcuni girondini, venne respinta, e il giorno dopo, il 21 gennaio 1793, il re fu decapitato. La ghigliottina si ergeva di fronte alle Tuileries, sulla piazza della Rivoluzione, accanto al piedistallo della statua di Luigi XV. L'unto del Signore, il re taumaturgo, il monarca di diritto divino venne giustiziato come un uomo qualunque: tutta una parte della storia di Francia e d'Europa fu spazzata via da quel gesto.
L'esecuzione di Luigi XVI accentuò l'ostilità delle potenze europee. La Francia aveva sconfitto gli austriaci a Jemappes (9 novembre '92): vittoria dovuta, ancor più di quella di Valmy, all'entusiasmo dei volontari, e in seguito alla quale fu conquistato il Belgio. Inoltre, fra novembre e dicembre, la Convenzione approvò una politica volta ad accordare "fratellanza e aiuto a tutti i popoli che vorranno rivendicare la propria libertà". I popoli liberati avrebbero dovuto accettare i princìpi e i risultati della rivoluzione. La guerra diveniva così sempre più
guerra rivoluzionaria e di propaganda.
Dopo la conquista del Belgio, l'apertura ai traffici dell'estuario della Schelda da Anversa al mare, la cui chiusura era stata stabilita dal trattato di Vestfalia (1648), minacciò gli interessi inglesi e olandesi e riaprì antiche rivalità commerciali. Il 1° febbraio del 1793 la Convenzione dichiarò guerra all'Inghilterra e all'Olanda, il mese successivo alla Spagna. Contemporaneamente avveniva la rottura con gli Stati italiani. In breve la Francia si trovò in guerra con tutti gli Stati europei, esclusi i paesi scandinavi, la Russia e la Svizzera. E l'Inghilterra cominciò ad organizzare un vasto intreccio di alleanze antifrancesi, completato nel settembre '93 e noto come I coalizione.
Con l'auspicio dei numerosi rivoluzionari stranieri, esuli a Parigi, le conquiste delle armate repubblicane si trasformarono in annessioni: della Savoia (novembre '92), di Nizza (gennaio '93), del Belgio e della Renania (marzo '93). Brissot e Danton, fra gli altri, furono sostenitori dell'estensione dei confini francesi fino alle "frontiere naturali", le Alpi e il Reno.
Una leva di 300.000 soldati, decretata dalla Convenzione a febbraio, non fu sufficiente ad arginare la ripresa dell'offensiva nemica nella primavera del '93. Il generale Dumouriez., il vincitore di Valmy e Jemappes, fu sconfitto in Belgio a Neerwinden (18 marzo). Sospettato e messo sotto inchiesta, tentò, come La Fayette, di volgere le proprie truppe contro la capitale, ma non riuscì e passò quindi al nemico. L'episodio costituì un duro colpo per la credibilità dei girondini, ai quali Dumouriez era legato.
Nello stesso mese di marzo 1793 una grande rivolta contadina esplose nella
Vandea (una regione dell'Ovest, a sud della Loira) e nei dipartimenti vicini. L'insurrezione nacque dal rifiuto della coscrizione, ma fu alimentata soprattutto dall'opposizione e estraneità di una parte del mondo rurale alla rivoluzione, vissuta come predominio della borghesia urbana, che era stata anche la maggiore beneficiaria della vendita dei beni nazionali. La rivolta vandeana, appoggiata dai nobili e dai preti refrattari, sconfisse sistematicamente le spedizioni inviate a reprimerla, rimanendo per anni il fattore più combattivo e tenace della controrivoluzione cattolica e monarchica.
La Convenzione dovette affrontare anche le difficoltà suscitate dal malessere economico e dall'endemica agitazione del popolo parigino contro il carovita e contro la svalutazione dell'assegnato: i sanculotti chiedevano un maximum (calmiere) che fissasse un prezzo massimo delle derrate alimentari - la rivendicazione di sempre delle popolazioni urbane - e la tassazione dei ricchi. Il 25 febbraio 1793 furono assalite e saccheggiate le drogherie. Alcune sezioni popolari erano infiammate dai sostenitori dell'eguaglianza sociale (gli arrabbiati) fra i quali primeggiavano Jean Varlet e il prete Jacques Roux.
La situazione di gravissima emergenza, creata dalle tensioni interne e dal nemico alle frontiere, sospinse la Pianura a trovare un accordo con i montagnardi, decisi a non rompere con il movimento popolare. La nuova maggioranza della Convenzione adottò una serie di provvedimenti eccezionali: furono creati un tribunale rivoluzionario contro i sospetti e comitati di vigilanza rivoluzionaria, affidati agli organismi rappresentativi di base (le sezioni); gli emigrati furono banditi dal territorio nazionale e i loro beni confiscati; infine fu stabilito un maximum dipartimentale per i cereali e la farina (4 maggio '93). Per rafforzare il potere esecutivo vennero inviati, nei dipartimenti e presso le armate, rappresentanti in missione con poteri amplissimi. Soprattutto venne istituito il
Comitato di salute pubblica (5-6 aprile '93), il vero organo di governo, composto da nove membri (tra i quali Danton e Barère, uno dei più autorevoli rappresentanti della Pianura), scelti dalla Convenzione e rinnovabili ogni mese.
Tutte queste misure apparvero ai girondini come un cedimento inaccettabile ai sanculotti e come l'inizio di una dittatura. Il contrasto con i montagnardi divenne sempre più insanabile. I girondini, che miravano a ridurre lo strapotere di Parigi, cercarono, senza successo, di decapitare il movimento popolare mettendone sotto accusa i leader più radicali (Marat, Hébert e Varlet) e, contemporaneamente, si accordarono con le forze moderate in tutto il paese. Alla fine di maggio realisti e moderati conquistarono Lione e Marsiglia, cacciandone le amministrazioni giacobine. Nella capitale, invece, le sezioni venivano preparando una "giornata" contro i girondini. Il 31 maggio '93 il tentativo fallì perché la Convenzione non cedette alle richieste del "comitato insurrezionale". Ma il
2 giugno, sotto la minaccia di 80.000 uomini della Guardia nazionale (che dal 10 agosto '92 aveva una composizione prevalentemente popolare, vero braccio armato delle sezioni) e di 150 cannoni, la Convenzione si piegò e decretò l'arresto di 29 deputati e di due ministri girondini.
Torna all'indice