8.3 La Spagna
Nei primi decenni del '600, la Spagna entrò in un periodo di inarrestabile decadenza. Dopo la morte di Filippo II, nel 1598,
Filippo III (1598-1621) ereditò un Regno che - malgrado fosse ancora la più potente unità politica europea - era afflitto da una crisi economica e sociale senza precedenti. All'esterno, Filippo III avviò una serie di prudenti iniziative di pace con la Francia (pace di Vervins del 1598), con l'Inghilterra (pace di Londra del 1604) e con le Province Unite (tregua dei dodici anni, dal 1609). All'interno il re non riuscì invece a contenere l'offensiva della nobiltà che - venuto meno l'afflusso di oro e argento americani - mirava a salvaguardare in altro modo il proprio tradizionale livello di ricchezza e di prestigio: un vasto processo di rifeudalizzazione colpì la penisola iberica e il Mezzogiorno italiano. I contadini, oggetto di un'oppressione fiscale e personale durissima, reagirono spesso dandosi al banditismo o, comunque, appoggiandolo (p. 210); per altro verso venne schiacciata ogni possibilità di espansione e ascesa sociale per i ceti borghesi.
La Spagna, che pure a livello culturale attraversava un periodo di grande splendore, che si riassume in figure come quelle di Velázquez, Cervantes, Lope de Vega, Calderón, non riuscì a fronteggiare la crisi. L'unica risposta concreta fu la ripresa della politica estera aggressiva, sotto
Filippo IV (1621-65), a opera del primo ministro conte-duca di
Olivares. Sul piano interno, Olivares propose una drastica riduzione delle tradizionali autonomie delle province iberiche e italiane al fine di potenziare l'autorità politica e le risorse economiche della corona: una scelta che diede nuova energia alla forza militare spagnola, ma che ebbe al tempo stesso come conseguenza l'esplosione di poderose spinte indipendentistiche e rivoluzionarie (
9.6).
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