4.4 La guerra dei contadini
Gli sconvolgimenti politici e religiosi della Riforma s'incrociarono con vasti sommovimenti sociali. Primi a muoversi furono i
cavalieri, cioè la piccola nobiltà. Si trattava di signorotti fieri delle loro tradizioni guerriere, ma emarginati dal grande potere e sprovvisti di mezzi economici adeguati al rango. Molti di loro campavano facendo i soldati di ventura e gli avventurieri, talvolta addirittura i banditi. I cavalieri colsero nella predicazione di Lutero un invito ad aggredire la grande proprietà ecclesiastica e impugnarono le armi. Erano guidati da Franz von Sickingen e dall'umanista Ulrich von Hutten, che vedevano nei cavalieri la futura classe dirigente dell'Impero, in grado di unificare lo Stato tedesco e di abbattere il potere dei vecchi feudatari laici ed ecclesiastici. Nel 1521-23 i cavalieri scatenarono una vera e propria guerra civile, ma una potente lega dei feudatari laici ed ecclesiastici represse nel sangue la rivolta, che lo stesso Lutero condannò con dure parole.
Molto più grave fu la
rivolta dei contadini, tanto grave da assumere i connotati di una guerra. In Germania, come del resto in tutta l'Europa tardomedievale, le rivolte contadine erano state sempre abbastanza frequenti e come altrove si erano inasprite in conseguenza della grande peste e della crisi del '300. Nelle campagne tedesche permanevano inoltre condizioni di asservimento molto dure, che in altre regioni europee erano state superate da tempo. Le nuove esigenze suscitate dall'estendersi dell'economia di mercato e dal conseguente impulso agli incrementi produttivi avevano anzi spinto molti signori, tra il XV e il XVI secolo, a inasprire ed estendere il loro dominio di carattere personale sui lavoratori della terra (
2.3). Non si trattava soltanto di richieste di contributi e di servizi, ma anche di tutta una serie di limitazioni riguardanti il diritto dei contadini di vendere beni e prodotti, il diritto ereditario, la libertà di matrimonio, la libertà di trasferimento; i signori avevano, inoltre, rafforzato ed esteso il loro dominio sulle terre comuni dei villaggi, dove i contadini esercitavano i tradizionali diritti di pascolo, di raccolta della legna, ecc.
La situazione sociale delle campagne tedesche si fece incandescente a partire dal 1524 quando fra l'estate e l'autunno scoppiarono le prime rivolte in Svevia e nella zona della Selva nera. All'inizio dell'anno seguente il moto dilagò in buona parte della Germania centro-meridionale: dalla Turingia al Tirolo, dall'Alsazia alla Svizzera furono assaliti e incendiati i monasteri, i castelli, le dimore signorili. I signori fuggivano impauriti. La rivolta si estese anche ad alcune città, contagiando le popolazioni urbane di Magonza e di Colonia, e si diffuse tra i minatori del Tirolo. Diversamente da quanto era accaduto nelle rivolte contadine del passato, in alcune regioni della Germania sudoccidentale il movimento cercò di darsi un'organizzazione e un programma. All'inizio del 1525 si formarono "alleanze" locali che confluirono a loro volta nell'Unione cristiana dell'Alta Svevia. Il fallimento delle trattative con i signori portò all'elaborazione dei cosiddetti
dodici articoli: una sorta di manifesto che raccoglieva le principali rivendicazioni dei contadini e servì da punto di riferimento per le lotte dei mesi seguenti (p. 102). Documento di protesta, programma di riforme e insieme manifesto politico, i dodici articoli ebbero una diffusione ampia e rapidissima: in appena due mesi ne furono pubblicate venticinque ristampe, per un totale di circa 25.000 esemplari. In essi si chiedeva, tra l'altro, l'abolizione di qualsiasi forma di servitù personale, l'uso delle foreste e dei boschi, l'esercizio libero della caccia e della pesca, la possibilità di eleggere e destituire i parroci, l'abolizione delle decime e delle prestazioni non previste dalla consuetudine oppure la loro riduzione a livelli consuetudinari o secondo misure armoniche con i princìpi generali espressi dal Vangelo.
Anche se la maggior parte di queste rivendicazioni non aveva nulla di rivoluzionario e tendeva semmai a ripristinare i rapporti consuetudinari tra contadini e signori che questi ultimi avevano alterato a loro vantaggio, e anche se i contadini non pensavano affatto ad abbattere il feudalesimo in quanto tale, non c'è dubbio che l'insieme delle richieste, se accolto, avrebbe avuto effetti dirompenti sul potere politico ed economico dei signori. Alcune pretese, per esempio quella relativa all'elezione dei parroci o all'abolizione delle servitù personali, suonavano come decisamente rivoluzionarie. Particolare significato eversivo assumeva il costante richiamo al Vangelo, che sarebbe difficilmente spiegabile senza la diffusione delle idee di Lutero e l'attività dei suoi seguaci. "Ciò che la parola di Dio ci ordina o ci vieta deve valere in ogni tempo e luogo. A essa, nel bene e nel male, affidiamo i nostri destini": in affermazioni come questa stava la grande forza ideale del movimento contadino. La parola divina diventava criterio di base per la legittimazione delle richieste più radicali: il diritto divino sarebbe servito per tagliare i ponti con le tradizioni giuridiche e ideologiche del Medioevo.
Non furono certo le idee di Lutero a scatenare le rivolte contadine. Queste ultime, come abbiamo visto, affondavano le radici in un malessere secolare. Ma il luteranesimo fu ben presto, e inevitabilmente, chiamato in causa, dai contadini stessi e dalle autorità. I contadini invocavano Lutero come loro paladino e si aspettavano che egli assumesse la guida del loro movimento. Quanto alle autorità, esse non tardarono ad accusare il monaco di essere il vero responsabile delle agitazioni: le sue idee sovversive, il suo cattivo esempio, il suo odio per il potere legittimo avevano contagiato le popolazioni, spingendole alla violenza. Era quindi necessario reprimere sia le rivolte contadine sia il movimento luterano che appariva tanto strettamente collegato alla sovversione.
Lutero intuì prontamente il pericolo e reagì con una serrata critica del programma e delle rivendicazioni dei rivoltosi: era vero che i signori avevano esagerato opprimendo ingiustamente i contadini, ma questi ultimi non avevano alcun diritto di appellarsi al Vangelo, perché il Vangelo escludeva qualsiasi violenza e qualsiasi ribellione. Il compito di punire l'ingiustizia spettava solo a Dio e i contadini dovevano rassegnarsi e obbedire. Il potere temporale non poteva conciliarsi con la libertà dei singoli individui, ed era fatale che ci fossero padroni e servi. L'unica libertà veramente importante e insopprimibile era quella interiore.
Lutero aveva espresso queste convinzioni già diversi anni prima della esplosione della rivolta. Esse corrispondevano, dunque, alla sua sincera visione della realtà sociale. Ma quando le autorità pubbliche intrapresero le rappresaglie e spinsero i loro soldati contro i ribelli, le parole del monaco si fecero sempre più aspre: "Che ragione c'è di mostrare ai contadini una clemenza tanto grande? Se ci sono innocenti in mezzo a loro, Dio saprà bene proteggerli e salvarli. [...] Se Dio non li salva vuol dire che sono criminali". E ancora: "Ritengo che sia meglio uccidere i contadini che i principi e i magistrati, poiché i contadini prendono la spada senza l'autorità divina. [...] Nessuna misericordia, nessuna pazienza verso i contadini, solo ira e indignazione, di Dio e degli uomini!". La sua rabbia culminò in un vero e proprio incitamento allo sterminio: "Per tutte queste ragioni - disse rivolgendosi ai signori - scatenatevi, salvateci, aiutateci, abbiate pietà di noi, sterminate, scannate, e chi ha il potere lo usi!".
La scelta di Lutero sorprese e deluse molti tra coloro che avevano accolto con entusiasmo il suo messaggio e che ora non capivano perché mai esso non potesse conciliarsi con la lotta armata contro le ingiustizie. Lutero fu giudicato un traditore. Tra le stesse file dei più attivi riformatori ci fu chi fece un'altra scelta. Il più noto di questi riformatori estremisti fu
Thomas Müntzer (ca. 1490-1525) che Lutero definì "il diavolo in carne e ossa nel suo furore più selvaggio". Müntzer, che si era allontanato ben presto da Lutero, da lui giudicato troppo moderato e incline al compromesso con la Chiesa di Roma, allo scoppiare della rivolta contadina ne era diventato uno dei capi. Nel maggio del 1525 i soldati e i cavalieri inviati dai principi tedeschi annientarono un esercito contadino a Frankenhausen in Turingia. Müntzer fu fatto prigioniero. Mentre lo torturavano (prima di decapitarlo), gridò: "Tutte le cose appartengono a tutti!". La battaglia contro l'egoismo e l'avidità dei signori era stata in effetti uno dei motivi dominanti della sua teologia, poiché lotta per la fede e lotta contro la miseria gli apparivano inscindibili: "Lutero - egli aveva affermato - dice che la Parola di Dio è sufficiente, ma non si rende conto che gente che spende ogni minuto del suo tempo per procurarsi il pane non ha tempo per imparare a leggere la Parola di Dio". Al contrario di Lutero, che invitava gli uomini alla passività e a ricercare dentro di sé l'unica autentica libertà, Müntzer aveva predicato un programma rivoluzionario: "a ciascuno dovrà essere dato in ragione dei suoi bisogni e a seconda delle disponibilità del momento. Il principe o conte o signore che non volesse adeguarsi a questa massima e non la prendesse sul serio, sarà decapitato o impiccato". Compito degli eletti era di annientare chiunque si opponesse alla realizzazione dell'uguaglianza e quindi al trionfo del Vangelo.
Ma il corso degli eventi mostrò che la via della rivoluzione non era praticabile. La strage di Frankenhausen fu seguita da tanti altri episodi analoghi: le bande contadine furono isolate e assalite una alla volta dalle forze coalizzate dei principi, e annientate. Ovunque si procedette a esecuzioni sommarie. Si calcola che alla fine furono sterminati, in battaglia o sulla forca, oltre 100.000 contadini. Era mancata al movimento, nella fase cruciale della lotta, quella compattezza di cui aveva dato prova nella fase iniziale. Era stato quindi relativamente facile, per i signori, alternare dure repressioni, che seminavano il terrore, a piccole concessioni che placavano gli animi dei contadini e spaccavano il fronte dei ribelli tra moderati, inclini all'accordo, e oltranzisti, contrari alla pacificazione. I ribelli, inoltre, non erano stati in grado, nelle regioni dove la rivolta aveva registrato un immediato successo, né di dar vita a una nuova organizzazione politica, né di raccogliere altri consensi per opporsi validamente alla reazione dei signori. I riformatori, con Lutero in prima fila, avrebbero potuto offrire un apporto decisivo in tal senso, con la loro esperienza culturale e politica, con il loro prestigio morale, con la loro autorità. Il loro rifiuto fu quindi determinante per il rapido fallimento della sollevazione.
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