18.2 Le tredici colonie
Attorno alla metà del '700, il territorio controllato dalla Gran Bretagna si estendeva su una vasta fascia di costiera atlantica limitata a nord dalla regione dei Grandi Laghi, a sud dalla Florida spagnola, a ovest dalla catena degli Appalachi. In questo territorio vivevano circa un milione e mezzo di coloni (compresi oltre 300.000 schiavi neri), che tendevano a crescere rapidamente di numero - si sarebbero avvicinati ai due milioni e mezzo nel 1775 - e ad allargare verso l'interno la loro area di insediamento, lottando duramente contro le tribù indiane, per lo più nomadi, che in quelle terre vivevano, praticandovi la caccia e l'allevamento. Poco numerosi (erano probabilmente circa un milione in tutto il continente agli inizi del '600), ma combattivi, gli indiani opposero una strenua resistenza alla colonizzazione. Questa era favorita peraltro dalle condizioni climatiche abbastanza simili a quelle europee, dall'abbondanza di risorse naturali, dalla presenza di numerosi approdi sulle coste e di fiumi navigabili che consentivano di penetrare verso le zone interne.
La colonizzazione inglese del Nord America si era svolta in tempi piuttosto lenti, fra l'inizio del '600 e la metà del '700; ed era stata il risultato non tanto di un piano di conquista preordinato, quanto della somma di una serie di azioni e di spinte diverse: l'iniziativa di alcune compagnie commerciali - o di singoli grandi proprietari o speculatori - si sommò a una consistente emigrazione dalla Gran Bretagna, e da altri paesi europei, di minoranze politiche e religiose. Sia le iniziative economiche sia i movimenti migratori furono incoraggiati o assecondati dalla corona britannica, allo scopo precipuo di contrastare o di controbilanciare la presenza sul continente delle altre potenze coloniali: in particolare della Francia e della Spagna.
La prima colonia britannica fondata sul suolo americano - dopo alcuni sfortunati tentativi alla fine del '500 - fu la Virginia, nata nel 1607 per iniziativa di una compagnia commerciale (la Virginia Company), passata nel 1624 sotto l'amministrazione regia e rinsanguata, negli anni attorno alla metà del secolo, da una nutrita immigrazione di "realisti" che sfuggivano al regime di Cromwell.
Nei decenni precedenti, fra il 1620 e il 1640, erano stati invece gruppi di puritani perseguitati dalla corona e dalla Chiesa anglicana a dar vita a numerosi insediamenti più a nord, nella regione del Massachusetts: il primo fu quello di New Plymouth, fondato dai "padri pellegrini" sbarcati nel dicembre 1620 dalla nave Mayflower. Fino al 1691, quando divenne una colonia britannica a tutti gli effetti pur conservando larghe autonomie, il Massachusetts si resse come uno Stato indipendente, dando corpo al sogno dei "padri pellegrini" di fondare una nuova società e insieme una nuova Chiesa, basate sui precetti delle Sacre Scritture. Nel decennio 1630-40, gruppi puritani dissidenti si separarono dal Massachusetts dando poi vita a due nuove colonie, il Rhode Island e il Connecticut. Il Connecticut fu la prima colonia americana - e forse la prima comunità organizzata dell'Occidente - a darsi una costituzione scritta (gli Ordinamenti fondamentali del 1639), di stampo decisamente democratico. Un'altra colonia, il New Hampshire, si separò nel 1679 dal Massachusetts e divenne una provincia indipendente sotto il controllo regio. Queste quattro colonie - che occupavano la regione detta Nuova Inghilterra - avrebbero mantenuto anche in seguito, nell'organizzazione sociale e negli ordinamenti politici, l'impronta della loro origine puritana.
Molto diversa fu l'origine delle colonie situate a sud della Virginia. La prima fu il Maryland, concesso nel 1632 da Carlo I in proprietà personale all'aristocratico Lord Baltimore e divenuto successivamente meta di una consistente emigrazione cattolica. Da un'analoga concessione fatta nel 1663 da Carlo II a otto proprietari nacquero la Carolina del Nord e la Carolina del Sud, dove affluirono, assieme a molti inglesi, esuli ugonotti francesi e coloni poveri provenienti dalla Virginia.
Fu sempre Carlo II a concedere a suo fratello, duca di York (il futuro Giacomo II), i territori attorno alla foce del fiume Hudson, in realtà occupati da coloni olandesi che vi avevano fondato il porto di Nuova Amsterdam. Nel 1664, la città fu occupata dalle truppe del duca, mutò il suo nome in quello di New York e divenne poi capitale dell'omonima colonia (dove rimase comunque una forte comunità olandese). Alcuni territori a sud dello Hudson furono successivamente ceduti ad altri proprietari e andarono a costituire il New Jersey.
Nel 1681, fu un ricco mercante quacchero, William Penn, a ricevere in concessione un'ampia regione boscosa dell'interno, fra il New York e la Virginia, che si sarebbe chiamata Pennsylvania e avrebbe avuto come capitale Filadelfia (la città "dell'amore fraterno"). Filantropo, apostolo della tolleranza e della giustizia sociale Penn attirò nella colonia numerose comunità agricole del Nord e del Centro Europa: non solo quaccheri provenienti dalla Gran Bretagna, ma anche pietisti tedeschi, oltre a scozzesi, irlandesi e svedesi. Olandesi e svedesi erano da tempo insediati nelle regioni meridionali dello Stato di New York, che nel 1703 furono acquistate da Penn e formarono poi la colonia del Delaware. Soprattutto scozzesi e irlandesi erano invece i pionieri che si spingevano nelle zone interne delle colonie del Centro e del Sud, dove vivevano cacciando e commerciando con gli indiani, prima di stabilire nuovi insediamenti agricoli.
La colonizzazione della costa fu completata, dopo il 1730, con l'acquisizione della regione compresa fra la Carolina del Sud e la Florida spagnola: regione che prese il nome di Georgia (dal re Giorgio II) e che fu in un primo tempo destinata a rifugio per poveri e a luogo di riabilitazione per criminali.
Formatesi in tempi e in circostanze diversi, abitate da popolazioni tutt'altro che omogenee per religione e per etnia, le colonie del Nord America differivano profondamente fra loro anche per ciò che riguardava l'economia e l'organizzazione sociale. Da questo punto di vista, si potevano individuare tre zone distinte.
Nelle quattro colonie della Nuova Inghilterra, le condizioni climatiche simili a quelle dell'Europa nordoccidentale avevano favorito lo sviluppo di un'agricoltura fondata essenzialmente sulla coltivazione dei cereali e organizzata in piccole e medie aziende familiari raccolte attorno a villaggi rurali che riproducevano il modello originario della comunità puritana. Questa agricoltura, pur essendo scarsamente dinamica e orientata principalmente verso l'autoconsumo, si integrava bene con l'economia dei centri urbani della costa (primo fra tutti Boston) dove fiorivano i commerci, la pesca e anche un'industria cantieristica che - grazie all'abbondanza di legname dell'entroterra - forniva circa il 50% del tonnellaggio alla flotta britannica.
Nelle cinque colonie del Sud (Virginia, Maryland, Carolina del Nord e del Sud, Georgia), i grossi centri urbani erano pressoché assenti e tutta l'economia era incentrata sulle piantagioni di tabacco e, in alcune zone, di riso (il cotone sarebbe stato introdotto nella seconda metà del secolo), i cui prodotti erano per lo più destinati all'esportazione. L'economia delle piantagioni - sviluppatasi in virtù del clima caldo, ma anche per i modi in cui era avvenuta la colonizzazione - si fondava principalmente sulla grande proprietà e si reggeva sul lavoro degli schiavi di origine africana: nel 1775, vivevano nel territorio dei futuri Stati Uniti circa 500.000 neri (oltre il 20% della popolazione delle tredici colonie), quasi tutti in condizione di schiavitù e quasi tutti concentrati nel Sud.
Le quattro colonie del Centro (New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware) non costituivano un blocco omogeneo, ma piuttosto una cerniera fra Nord e Sud; e risentivano dell'estrema varietà delle loro componenti etniche. Dal punto di vista economico, la loro situazione era piuttosto simile a quella della Nuova Inghilterra, salvo che le colture erano più differenziate, in virtù del clima temperato, e anche il commercio aveva maggiore sviluppo. Diversa era invece la struttura della proprietà terriera (soprattutto nel New York, dove dominavano i grandi latifondisti e la terra era per lo più coltivata da piccoli affittuari, spesso soggetti a obblighi semifeudali) e più marcati, rispetto al clima egualitario delle colonie del Nord, erano gli squilibri sociali.
Nel complesso, l'economia delle colonie era strettamente integrata con quella della madrepatria, che, in base agli Atti di navigazione (1651 e 1660) e in ossequio alle teorie mercantilistiche allora dominanti, si riservava - almeno in teoria - il monopolio sui commerci da e per le province d'oltremare. Solo le navi inglesi potevano accedere ai porti del Nord America e tutte le merci dirette alle colonie dovevano passare per la Gran Bretagna. La quasi totalità della produzione coloniale (il tabacco e il riso del Sud, il legname della Nuova Inghilterra, il pesce e l'olio di balena, il rhum e le pellicce) era destinata ai mercati britannici; mentre l'industria locale, salvo quella cantieristica, era ostacolata per evitare che entrasse in concorrenza con quella della madrepatria.
A questa stretta dipendenza economica - peraltro attenuata dallo sviluppo di un fiorente commercio clandestino, soprattutto con i Caraibi - faceva riscontro una notevole autonomia sul piano politico. Dall'inizio del '700, a prescindere dalle circostanze in cui si erano formate, tutte le colonie (salvo il Connecticut e il Rhode Island) furono poste sotto il controllo di un governatore di nomina regia, affiancato da Consigli anch'essi nominati dall'alto e composti da un ristretto numero di notabili. A questi Consigli si aggiungevano però assemblee legislative elette dai cittadini, in base a criteri assai più larghi di quelli vigenti nella madrepatria: se nelle colonie del Sud il diritto di voto era in pratica limitato ai proprietari terrieri, nella Nuova Inghilterra (dove la comunità politica tendeva a coincidere con la comunità religiosa e dove tutti i "veri cristiani" erano titolari dei diritti politici) aveva accesso alle urne circa il 70% dei maschi adulti. Nel corso del tempo, le assemblee legislative assunsero poteri sempre maggiori nella conduzione degli affari delle colonie, realizzando così esperienze di
governo rappresentativo che non avevano allora riscontro in nessun'altra colonia, né in alcun paese sovrano del resto del mondo.
Forme molto ampie di autogoverno si realizzavano anche a livello delle comunità locali, che godevano ovunque di larghissime autonomie: il che era dovuto in parte alle condizioni geografiche (le difficoltà di comunicazione rendevano problematico l'esercizio di un forte potere centrale), in parte ai valori politico-religiosi cui si ispiravano i coloni, molti dei quali - come si è visto - erano emigrati in America per sfuggire a persecuzioni o per sperimentare nel nuovo mondo nuovi modelli di convivenza civile e religiosa. Il pluralismo, la tolleranza, la difesa delle autonomie locali erano valori condivisi, in modi e in gradi diversi, dall'intera società coloniale, anche se erano rigidamente limitati all'universo bianco e cristiano (non si applicavano infatti agli schiavi neri, considerati come una merce, né tanto meno agli indiani, visti come una sorta di ostacolo naturale alla colonizzazione). Si trattava comunque di valori profondamente radicati nella mentalità dei coloni, in quanto erano basati non solo su convinzioni razionali, ma anche e soprattutto su un solido fondamento religioso. I coloni della Nuova Inghilterra, in particolare, si consideravano come una sorta di popolo eletto, legato a Dio da un patto originario e protagonista di un sacro esperimento destinato a realizzare in terra i princìpi del vero cristianesimo. Su questa base ideale - legata alla tradizione puritana - si sarebbe fondata in larga parte la lotta delle colonie per l'indipendenza (p. 473-5).
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