7.2 I problemi del governo: burocrazia ed economia
Lo Stato di Filippo II era il più dispotico d'Europa. Il sovrano, che godeva di poteri assoluti sui beni e sulle persone dei sudditi, era anche, di fatto, una specie di capo della Chiesa. Da buon cattolico, egli ovviamente riconosceva l'autorità del papa, ma esercitava poteri talmente vasti sul clero da farne quasi un settore della burocrazia statale. Egli usufruiva infatti del cosiddetto diritto di presentazione, che gli consentiva di nominare, alla testa delle diocesi, vescovi di suo gradimento (soprattutto castigliani), per mezzo dei quali controllava efficacemente anche i livelli più bassi della gerarchia ecclesiastica. Nella penisola iberica come nelle Americhe, in Sicilia come in Sardegna, l'Inquisizione spagnola dipendeva inoltre direttamente dalla corona anziché dal papa, e questo contribuì ampiamente ad attribuire al sovrano la fama di accanito persecutore.
L'attività governativa della corte era affiancata da una serie di Consigli che prefiguravano già l'articolazione in ministeri tipica di uno Stato moderno. Le decisioni ultime su questioni importanti spettavano sempre al sovrano, ma i vari settori della politica e dell'amministrazione erano affidati a singoli organismi. Gli affari esteri e gli indirizzi di politica generale erano trattati da un Consejo de Estado, di cui facevano parte i personaggi più rappresentativi della corte. Altri Consigli erano quello di Hacienda, preposto all'economia e alle finanze, della Guerra, dell'Inquisizione; altri ancora gestivano singoli territori dell'impero, come i Consigli di Castiglia, di Aragona, d'Italia, delle Indie, ecc.
A questi Consigli corrispondeva una gigantesca (per quei tempi) piramide di funzionari, impiegati, dipendenti di vario genere. Il reclutamento di queste migliaia di funzionari avveniva normalmente attraverso la vendita delle cariche. Questo significa che l'aspirante a un posto statale doveva sborsare, per ottenerlo, una somma corrispondente all'importanza dell'incarico. Il funzionario, una volta nominato, cercava ovviamente di recuperare la somma elargita, con i proventi a cui la carica dava diritto. Oltre allo stipendio, in genere modesto, il funzionario percepiva infatti direttamente dai privati, per ogni atto amministrativo, altri emolumenti (i diritti casuali), che rappresentavano la parte più significativa delle sue entrate. Il costume del tempo e l'incerta distinzione fra sfera pubblica e sfera privata diede luogo inoltre a una diffusa corruzione di cui fecero le spese i ceti più umili, vessati in tutti i modi. La stessa struttura burocratica esistente in Spagna fu riprodotta in America, con l'aggravante che nel Nuovo Mondo si trattava di governare popolazioni indigene, completamente asservite e indifese: una marea di funzionari rapaci e corrotti - quasi tutti castigliani - si riversò su quelle terre sottoponendole a una sistematica spoliazione. Lo scopo principale di questi amministratori, infatti, era di raccogliere un ricco bottino per poi tornare in patria a goderselo.
In America fu anche trapiantato il tribunale dell'Inquisizione e creata una struttura ecclesiastica ramificata e potente. Accanto a figure di ecclesiastici nobili e sinceramente preoccupati del benessere spirituale e materiale degli indigeni, come Bartolomé de Las Casas (
1.12), proliferavano però individui ben più interessati ad arricchirsi che a curare le anime dei fedeli. Agli indigeni fu preclusa la possibilità di entrare a far parte del clero: la Chiesa d'America sarebbe rimasta ancora a lungo una Chiesa spagnola, e quindi espressione di un dominio straniero.
Dopo il 1560 cominciarono ad affluire in Spagna grossi quantitativi di
oro e d'
argento estratti nelle miniere del Perù e del Messico a prezzo di fortissime perdite umane nel personale indigeno. Questo fiume di metalli preziosi, stipato annualmente nelle stive di un grande convoglio militare, riversava sulla Spagna mezzi per quei tempi enormi, su cui nessuno Stato dell'epoca poteva contare. Se l'apparato produttivo spagnolo fosse stato all'altezza della situazione, quei metalli preziosi avrebbero potuto assicurare al paese un benessere duraturo, promuovendone lo sviluppo economico. Ma la struttura dell'economia spagnola non fu in grado di cogliere questa eccezionale occasione: il settore manifatturiero e commerciale era a livelli piuttosto bassi e nulla fu fatto per incentivarne le capacità; l'agricoltura, dal canto suo, non era nemmeno in grado di provvedere al fabbisogno delle popolazioni iberiche e la sua produzione doveva essere integrata da massicce importazioni; nella classe dirigente spagnola - a differenza di quanto era avvenuto da tempo, per esempio, in Italia o in Inghilterra, dove la nobiltà aveva comportamenti economici più disinvolti e aperti - permanevano inoltre forti pregiudizi contro le attività imprenditoriali, si inseguivano ancora ideali puramente cavallereschi, si praticava uno stile di vita caratterizzato dallo sfarzo e dallo spreco.
Le conseguenze di questa situazione sull'economia spagnola furono nefaste. L'oro e l'argento americani servivano certo a garantire alla Spagna un ruolo di prima potenza mondiale, consentendole d'intervenire militarmente su più fronti, ma a livello economico crearono una spirale di problemi. Essi provocarono anzitutto un forte aumento dei prezzi; all'incremento della domanda di merci (determinato appunto dalla maggiore disponibilità di metalli preziosi) non corrispondeva un adeguato incremento dell'offerta (che l'apparato produttivo spagnolo non era in grado di assicurare). I prezzi, quindi, aumentarono, con grave danno per gran parte della popolazione. In secondo luogo, la domanda si riversò sui mercati esteri, arricchendo i produttori francesi, italiani, inglesi, olandesi. Agli occhi di alcuni nobili spagnoli questo afflusso di merci straniere nel loro paese appariva come un segno di potenza, ed era vissuto con orgoglio: "Lasciamo - ebbe a dire uno di loro - Londra produrre quei panni così cari al suo cuore; lasciamo l'Olanda produrre le sue stoffe, Firenze i suoi drappi [...], Milano i suoi broccati, l'Italia e le Fiandre le loro tele di lino [...]. Noi siamo in grado di comperare questi prodotti il che prova che tutte le nazioni lavorano per Madrid e che Madrid è la grande regina perché tutto il mondo serve Madrid mentre Madrid non serve nessuno". Ma si trattava di valutazioni superficiali, e agli osservatori più attenti non sfuggiva la gravità della situazione; già verso la fine del '500 le stesse Cortes di Spagna (le antiche assemblee dove erano rappresentati la nobiltà, il clero e le città) osservarono con preoccupazione che "mentre i nostri regni potrebbero essere i più ricchi del mondo per l'abbondanza dell'oro e dell'argento che vi sono entrati e continuano a entrare dalle Indie, essi finiscono con l'essere i più poveri perché servono da ponte per far passare oro e argento in altri regni nostri nemici". Così, malgrado il grande afflusso di metalli, il Regno di Spagna era costantemente indebitato e si trovò spesso nella condizione di non poter far fronte ai suoi impegni finanziari: per ben tre volte, sotto Filippo II, fu addirittura dichiarata la bancarotta.
Il commercio tra la madrepatria e le colonie era sottoposto a tutta una serie di pesanti restrizioni: le colonie non potevano commerciare con stranieri né commerciare tra loro. Tutti i traffici dovevano passare per il porto di Siviglia, dove venivano attentamente controllati. Il trasporto e il commercio di gran parte delle merci era infatti sottoposto al monopolio regio. La povertà del sistema produttivo spagnolo che, come abbiamo visto, toccava livelli molto bassi, costringeva tuttavia le colonie a eludere i divieti e a procurarsi comunque, altrove, le merci di cui avevano bisogno. Il contrabbando raggiungeva di conseguenza dimensioni gigantesche.
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