6.4 Spinte repressive e spinte riformatrici
Questa ampia riformulazione e sistemazione di dottrine, questa codificazione di norme disciplinari, questa correzione di storture, si accompagnò a una parallela azione repressiva, che esprime più direttamente l'anima dura e battagliera della Controriforma: un'anima che, come si è accennato, si interseca strettamente con le istanze di rinnovamento. Per comprendere l'intreccio di queste due spinte, basta considerare che il papa Paolo III, che convocò il concilio di Trento, fu lo stesso che - su incitamento del cardinale Carafa (il futuro Paolo IV) - diede nuovo vigore al tribunale dell'Inquisizione per la lotta contro l'eresia; il tribunale venne accentrato sotto la direzione di una commissione cardinalizia, la Congregazione del Sant'Uffizio: si creò così una politica unitaria e accentrata dell'Inquisizione. Quanto all'interruzione decennale del concilio di Trento, si è già accennato che essa fu dovuta alle tendenze accesamente conservatrici del pontefice
Paolo IV Carafa (1555-59). Convinto dell'inutilità di quell'assemblea e ostile a qualsiasi innovazione che non discendesse dall'alto, il pontefice intendeva restaurare la potenza della Chiesa attraverso una battaglia accanita contro le "eresie" e una serie di provvedimenti di carattere disciplinare. Mentre i tribunali dell'Inquisizione operavano con rinnovata intensità, i sospetti del papa si abbatterono anche su quei cardinali che a Trento avevano operato con entusiasmo riformatore e che furono accusati di simpatie ereticali: Giovanni Morone fu incarcerato, Reginald Pole costretto a emigrare. Paolo IV riorganizzò anche la censura sulla stampa e fissò i criteri per la compilazione dell'Indice dei libri proibiti, un catalogo contenente tutti i titoli dei libri che un buon cattolico non avrebbe mai dovuto leggere.
Lo spirito repressivo dell'età della Controriforma è legato anche al ricordo di alcune grandi personalità che a esso si opposero. Il frate domenicano
Giordano Bruno (1548-1600), uno dei più alti pensatori dell'ultima età rinascimentale, entrò in aperto contrasto con le autorità ecclesiastiche a causa delle sue idee favorevoli alla ripresa del dialogo con i protestanti e della sua dura critica ad alcuni aspetti della religione cattolica che gli apparivano frutto di pura superstizione. Abbandonata la tonaca, peregrinò per l'Europa - da Napoli a Ginevra, a Parigi, a Tolosa, all'Inghilterra, alla Germania - professando ovunque con coraggio le sue idee e affrontando ovunque reazioni e ritorsioni. Il suo pensiero - segnato in profondità dall'influenza della rivoluzione copernicana - si andò sempre più orientando verso il superamento di qualsiasi schematismo confessionale, alla ricerca di nuove verità: l'infinitezza del mondo, nello spazio e nel tempo, assunse importanza fondamentale nella sua filosofia, contro l'antica "prigione" delle sfere celesti, e di conseguenza contro la visione dell'universo (di matrice aristotelica), accettata dalla Chiesa. Giunto a Venezia su invito del nobile Giovanni Mocenigo, fu da quest'ultimo denunciato all'Inquisizione. Trascinato a Roma, subì la tortura e un lunghissimo processo, ma non ritrattò. Nel 1600 fu infine giustiziato sul rogo nella piazza romana di Campo de' Fiori.
Un altro frate domenicano,
Tommaso Campanella (1568-1639), elaborò nella sua opera più famosa, La Città del Sole, e in altri scritti, la grande utopia di una società ordinata su basi comunistico-ascetiche e inquadrata politicamente in una monarchia universale che avrebbe rinnovato la Chiesa e assicurato la pace sociale. Campanella cercò anche di dare una prospettiva concreta a queste idee; postosi a capo, in Calabria, di una congiura per abbattere il dominio spagnolo e realizzare il suo ideale di società, fu arrestato. Torturato e processato dall'Inquisizione, riuscì a salvarsi fingendosi pazzo, ma restò in prigione per 27 anni.
I rapporti tra Chiesa e Stato furono oggetto della riflessione del frate
Paolo Sarpi (1552-1626). Nel 1606 esplose un gravissimo contrasto tra la Repubblica di Venezia e il papato in conseguenza dell'arresto, autorizzato dal governo veneziano, di due preti colpevoli di reati comuni. La Santa Sede, ritenendo più che mai valido il principio confermato dal concilio di Trento, secondo il quale la Chiesa godeva di autonomia giuridica rispetto allo Stato (che non poteva quindi punire gli ecclesiastici), reagì con estremo vigore: il pontefice Paolo V emanò contro Venezia l'Interdetto, in base al quale nessuna cerimonia religiosa sarebbe stata più celebrata nel territorio della Repubblica.
Nella polemica che seguì, Paolo Sarpi - che era il massimo consigliere religioso della Repubblica, sostenne con estremo rigore concettuale il diritto di Venezia sulla Chiesa locale, diritto che assumeva tuttavia valore generale, applicandosi ai rapporti tra tutti gli Stati e tutte le chiese locali. Sul piano strettamente politico la vicenda si concluse con un compromesso: i due preti, imprigionati, furono consegnati al papa, ma la Repubblica confermò la validità dei propri diritti. Si aprì in tutta Europa un vasto dibattito sui rapporti tra Chiesa e Stato, proprio nel momento in cui la Chiesa, uscita dal concilio di Trento, manifestava una rinnovata volontà di controllo sulla società civile. Negli anni seguenti Paolo Sarpi - che ebbe a subire un attentato, opera, come si disse, di sicari pontifici - diede ulteriore elaborazione alle sue idee nella Istoria del Concilio Tridentino (pubblicata a Londra nel 1619), che oltre a essere la prima ricostruzione storica del concilio di Trento è anche la prima grande riflessione complessiva sulla Chiesa post-tridentina.
Le spinte repressive esprimono tuttavia solo un'anima della Chiesa cattolica cinquecentesca. La volontà di attuare una riforma del cattolicesimo, attraverso nuove forme organizzative, di attuare una moralizzazione del clero e d'intervenire concretamente nella società, era emersa già alcuni anni prima del concilio di Trento con la fondazione di tutta una serie di ordini religiosi e di istituzioni caritative e assistenziali. Nel 1517 era stato creato l'Oratorio del divino amore, una confraternita (cioè una libera associazione di laici e chierici) votata a intense e frequenti pratiche di devozione e alla carità. Nel 1524 fu creato l'ordine dei teatini (dal nome antico della città di Chieti, Teate), rivolto alla riforma morale del clero e alla predicazione; nel 1528 quello dei cappuccini, dediti alla predicazione popolare e all'assistenza agli appestati; nel 1532 quello dei somaschi (dalla località di Somasca, vicino Bergamo), incaricati soprattutto degli orfanotrofi; nel 1533 quello dei barnabiti (dal nome della chiesa milanese di San Barnaba), attivi nella cura delle anime e nell'assistenza agli infermi; nel 1535 fu la volta dell'ordine delle orsoline (dal nome di Santa Orsola), suore di clausura particolarmente impegnate nell'istruzione femminile. Molti altri ordini furono istituiti negli anni seguenti. Mentre nel XIII secolo l'istituzione degli ordini mendicanti aveva consentito di porre un freno al dilagare delle eresie assorbendone alcune tematiche pur di far rientrare le scissioni, la proliferazione controriformistica di confraternite e ordini esprimeva la volontà di rilanciare la presenza della Chiesa nella società respingendo qualsiasi tentazione eterodossa. A prescindere dalle loro "specializzazioni" i nuovi religiosi svolsero anzitutto opera missionaria all'interno della lacerata cristianità europea, attraverso la predicazione, l'esempio e l'impegno sociale.
La più importante di queste nuove istituzioni fu la
Compagnia di Gesù, fondata nel 1540 da
Ignazio di Loyola (1491-1556), un ufficiale spagnolo dalla vita avventurosa, il quale, ferito durante un assedio, fu preso da una crisi mistica e decise di dedicarsi all'apostolato religioso. L'ordine dei gesuiti, che ebbe una rapida crescita (5000 membri nel 1581, 16.000 nel 1625) prevedeva una formazione lunga e meticolosa: due anni di noviziato, due di studi letterari e scientifici, tre di filosofia, quattro di teologia. Il gesuita diventava sacerdote verso i trent'anni, ma doveva ancora affrontare un ultimo anno di noviziato. La struttura interna era rigorosamente gerarchica e l'autorità era concentrata nelle mani del capo dell'ordine, il generale. Reclutati attraverso una selezione durissima, i gesuiti erano uomini di Chiesa che univano alla vasta cultura e alle capacità non comuni, una consolidata abitudine a un'obbedienza di tipo militare (lo stesso termine "Compagnia" evocava il mondo dell'esercito).
All'estremo rigore esercitato all'interno dell'ordine faceva riscontro, però, un'estrema flessibilità dei gesuiti nei confronti della realtà in cui operavano. Avendo come obiettivo principale la riconquista della Cristianità ai princìpi morali e dottrinali della Chiesa romana, la Compagnia si industriò per realizzare il massimo della penetrazione possibile nella realtà politica, sociale, culturale europea, evitando atteggiamenti di eccessiva rigidità nei confronti degli "eretici", degli increduli, degli incerti. Soprattutto in due campi tale azione fu svolta con successo: la collaborazione con i governi e la promozione delle istituzioni educative. Il prestigio intellettuale e il rigore morale della Compagnia fecero incrementare la richiesta di professori gesuiti da parte di principi e città, al punto che Ignazio di Loyola dovette creare a Roma un apposito collegio centrale, il Collegium Romanum per l'istruzione dei novizi. Membri dell'ordine conquistarono le università cattoliche, ma soprattutto fondarono scuole di istruzione primaria e secondaria che presto furono affollate di giovani appartenenti ai ceti superiori, alta nobiltà compresa. Questo grande successo si deve alla serietà e alla buona qualità media dell'istruzione gesuitica sia dal punto di vista morale sia da quello culturale.
In più, la capacità dell'ordine di intuire le esigenze del "pubblico" si espresse nell'introduzione, nei programmi scolastici, del gioco didatticamente disciplinato, della danza perché i ragazzi imparassero a tenere un portamento elegante, delle recite teatrali per abituarli a essere disinibiti in società: tutti accorgimenti per formare schiere di perfetti gentiluomini e perfetti cattolici. Come educatori, i gesuiti ebbero accesso anche alle corti e - grazie anche alla loro notoria disponibilità a recuperare i peccatori pentiti - diventarono i confessori ufficiali di principi e sovrani: di conseguenza l'ordine era certamente l'organismo internazionale più informato del tempo, in grado, quindi, di assicurare ottimi servigi anche dal punto di vista diplomatico.
Per altro verso va precisato che i gesuiti si preoccuparono di estendere la propria influenza anche sui ceti più umili, proponendo, ancora una volta, il sistema più efficace per catturare l'attenzione del popolo analfabeta. I gesuiti furono promotori del culto delle immagini sacre, sfociante nei sontuosi apparati cerimoniali delle processioni religiose che si svolgevano anche nei più piccoli paesi. Ad essi si deve anche l'idea di creare un nuovo monumentale modello di chiesa, ben riconoscibile nella Chiesa del Gesù a Roma (1568-75): una maestosa facciata, di grande rilievo nel contesto urbano, introduceva a una vasta aula rettangolare, ideale per grandi raduni liturgici. Questa tipologia architettonica si diffuse in tutta Europa e fu una componente importante dello stile barocco.
La Compagnia di Gesù si ritirò progressivamente dal campo delle opere assistenziali, ma non trascurò attività missionarie oltremare: San Francesco Saverio, uno dei primi collaboratori di Ignazio di Loyola, ottenne notevolissimi successi in India e in Giappone, e Matteo Ricci in Cina, quasi a indicare che le rinnovate energie del mondo cattolico erano ormai tali da poter conquistare anche i non credenti delle terre più lontane.
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