17.2 I fattori del mutamento
Le peculiarità dell'Inghilterra nei confronti degli altri paesi d'Europa consistevano essenzialmente nello sviluppo raggiunto dal commercio, nelle caratteristiche della sua agricoltura, nell'incremento della popolazione, nelle forme particolari della sua organizzazione politica.
Nei primi cinquant'anni del XVIII secolo il
commercio inglese rafforzò le sue posizioni su scala mondiale. Salvo un'inversione di tendenza durante gli anni della guerra d'indipendenza degli Stati Uniti (1775-83), la fase espansiva si mantenne fino alla fine del secolo, quando le esportazioni rappresenteranno il 15% del reddito nazionale, il doppio circa rispetto al 1700. La riduzione dei rischi legati al commercio d'oltremare e l'aumento dei profitti, insieme alla politica del governo inglese tesa a ridurre il potere delle grandi compagnie privilegiate, consentirono l'ingresso nel settore di uomini nuovi e il dispiegarsi della libera iniziativa. Londra, al centro di questi traffici, sviluppò una rete sempre più estesa di servizi di credito e assicurativi, assumendo il ruolo di capitale finanziaria di tutta l'Europa. Molti storici hanno considerato il commercio estero come il tratto più significativo della diversità inglese, tanto da porlo al primo posto tra i fattori della rivoluzione industriale. Anche se questa interpretazione appare oggi inadeguata a spiegare la complessità del fenomeno, è certo tuttavia che il controllo del mercato internazionale fornì alle manifatture britanniche la possibilità di un rapido e poco costoso approvvigionamento di cotone grezzo, materia prima essenziale alla nascita della moderna industria tessile, e insieme garantì un ampio mercato di vendita per i prodotti inglesi. Lo sviluppo commerciale favorì inoltre la formazione di operatori economici dotati di mentalità imprenditoriale, di disponibilità al rischio e di spirito di iniziativa, qualità indispensabili per avviare e sostenere una crescita economica.
Nel corso del '700, anche se con forti differenze regionali, l'assetto proprietario e le strutture produttive dell'agricoltura inglese subirono cambiamenti tanto profondi da generare quella che può essere definita una vera e propria
rivoluzione agricola. Il possesso delle terre si concentrò nelle mani di pochi grandi e medi proprietari con la costituzione di ampie unità di produzione gestite spesso da fittavoli con criteri imprenditoriali e basate sul lavoro di salariati agricoli. Le tradizionali figure dei piccoli proprietari e dei contadini autonomi andarono diminuendo di numero e di importanza, sostituite progressivamente da un nuovo ceto di braccianti. Questa trasformazione degli assetti proprietari, dovuta al fenomeno delle enclosures e della privatizzazione delle terre comuni, fu accompagnata dalla introduzione di nuove tecniche agricole e dall'adozione di nuovi sistemi di rotazione (
15.4).
L'insieme di questi fattori determinò un forte aumento della produzione al quale contribuirono sia l'incremento della produttività che l'estensione delle aree coltivate. La drastica riduzione dell'autoconsumo, legata al diffondersi del lavoro salariato nelle campagne, e la crescita dei redditi agricoli promossero la formazione di un vivace mercato interno che si venne rapidamente unificando grazie al più o meno contemporaneo ampliamento e miglioramento delle
vie di comunicazione.
Nuovi sistemi di pavimentazione resero percorribili le strade anche durante la cattiva stagione. L'istituzione di pedaggi sulle principali strade e l'ingresso dei privati nella gestione, prima affidata alle comunità locali, rappresentarono il principale incentivo alla manutenzione e al miglioramento della rete viaria. In questo settore, a partire dal 1750, si verificò un vistoso aumento dei consorzi privati che indirizzarono verso fini di pubblica utilità, con rendimenti prevedibili solo a lunga scadenza, una rilevante quota di capitali.
Ancora più significativa fu l'espansione dei canali navigabili (3200 km alla fine del XVIII secolo), poiché attraverso questi si svolse il traffico di materiali pesanti, come il carbone e il ferro, la cui disponibilità risultò determinante nelle prime fasi della rivoluzione industriale.
In generale, dunque, la rivoluzione agricola contribuì ad avviare e sostenere il processo di industrializzazione su vari piani. In primo luogo sopperì al fabbisogno alimentare di una popolazione in rapida crescita. In secondo luogo contribuì alla formazione del mercato interno, che si rivelerà un'importante fonte di domanda per i prodotti inglesi soprattutto durante le guerre contro la Francia agli inizi del XIX secolo, quando cioè il commercio estero subì un forte rallentamento. Non va dimenticato inoltre che molti industriali provenivano dal mondo rurale dei piccoli e medi produttori o da quel settore ricevettero, in molti casi, i capitali necessari per impiantare le prime manifatture. Decisivo fu infine, seppure a industrializzazione già avviata, il ruolo della rivoluzione agricola nel favorire (con la riduzione delle opportunità per i piccoli proprietari e i contadini autonomi) quel massiccio esodo dalle campagne che consentì lo sviluppo del proletariato industriale.
Strettamente intrecciata alle trasformazioni del mondo rurale fu la
rivoluzione demografica. Infatti, nella vistosa crescita della popolazione verificatasi in tutta Europa nel secolo XVIII, l'Inghilterra rappresenta il caso più significativo. Dai 6 milioni di abitanti del 1740, una cifra stabile da molti decenni, si passò agli oltre 14 milioni del 1830, grazie soprattutto al notevole aumento della natalità. La causa principale di questo incremento della natalità fu il progressivo abbassamento dell'età del matrimonio e un aumento dei matrimoni stessi in coincidenza con una successione di raccolti favorevoli e quindi con una maggiore disponibilità alimentare.
Se inizialmente l'aumento della popolazione coincise con i cambiamenti della struttura economico-produttiva, e per certi versi li anticipò, successivamente ne venne sostenuto grazie alla crescita complessiva dell'economia. La rivoluzione demografica rese disponibile all'industria nascente una manodopera numerosa e quindi a basso costo. Una manodopera che, uscendo dal ciclo dell'autoconsumo, divenne sempre più dipendente dal mercato per il soddisfacimento dei propri bisogni elementari.
Questa rete di interdipendenze economiche non esaurisce tuttavia l'insieme di ragioni che consentirono all'Inghilterra di realizzare la prima rivoluzione industriale. È indispensabile ricordare infatti alcune delle peculiarità del sistema politico e del clima culturale inglese del Settecento: che consistono essenzialmente nella stabilità politica, nel rafforzamento del ruolo del Parlamento, nella vivacità della società civile. La società inglese appariva inoltre più colta e dinamica di quelle continentali, aperta alle innovazioni, percorsa da fermenti individualistici e da un forte spirito pragmatico.
I fattori fin qui indicati individuano, più che le cause, le condizioni che consentirono il decollo industriale. Ma dall'analisi del sistema produttivo risulterà evidente che le innovazioni tecnologiche e la progressiva introduzione del sistema di fabbrica furono gli elementi di rottura che segnarono il vero e proprio avvio della rivoluzione industriale.
Torna all'indice