13.9 Metalli preziosi, piantagioni e schiavi
Nell'economia del Nuovo Mondo un ruolo decisivo aveva avuto fin dall'inizio lo sfruttamento delle risorse di metalli preziosi. Dapprima fu trovato l'oro nelle sabbie dei fiumi delle Antille; ancora oro e poi argento in Messico e in Perù, nel bacino del Potosì. A partire dal 1560 circa, l'utilizzazione del mercurio (processo di amalgamazione) consentì una più agevole estrazione dell'argento dai minerali che lo contenevano. La produzione di argento aumentò enormemente fino a rappresentare, nel XVI secolo, l'80% circa del valore delle esportazioni di preziosi in Europa. Si è calcolato che dal 1500 al 1660 furono introdotte in Europa 181 tonnellate d'oro e 16.000 tonnellate d'argento, pari al 25% dell'intera disponibilità europea. Una percentuale certamente elevata ma non tale da determinare da sola l'ascesa dei prezzi europei, che fu dovuta prevalentemente all'incremento demografico. L'argento americano contribuì tuttavia ad aumentare in misura rilevante la disponibilità monetaria della corona spagnola e a finanziare gli acquisti europei di spezie sui mercati dell'Estremo Oriente.
A partire dal 1630-40 vi fu un progressivo esaurimento dell'argento peruviano estratto nel Potosì, compensato da una ripresa delle miniere messicane dello Zacatecas, agli inizi del '700, che registrarono un forte incremento produttivo alla fine del secolo. Al ciclo dell'argento messicano corrispose nello stesso periodo il ciclo dell'oro brasiliano (1700-1820, con un picco produttivo nel ventennio 1740-60) scoperto nel distretto di Minas Gerais.
Se l'esportazione dei metalli preziosi dominava i rapporti con la madrepatria, altre forme di organizzazione economica definirono in maniera più duratura il quadro produttivo e sociale dell'America latina. Anche in rapporto con la diminuzione della popolazione india, nel possesso della terra si andò sempre più rafforzando la grande proprietà inserita nella produzione per il mercato interno o internazionale, soprattutto dove più agevoli erano le vie di comunicazione con le aree urbane o verso i mari. In alcune regioni si venivano inoltre accentuando forme di specializzazione produttiva: questo fu il caso, ad esempio, dell'allevamento bovino a Santo Domingo e nella Plata che diedero luogo ad una notevole esportazione di cuoio. Più significativo ancora il diffondersi delle
piantagioni nelle zone insulari o aperte verso l'Oceano Atlantico, dove si coltivavano canna da zucchero, cacao, caffè e tabacco, tutti prodotti destinati all'esportazione.
Il sistema delle piantagioni approdò in America latina con l'inizio della coltivazione della canna da zucchero in Brasile. Originaria del Golfo del Bengala, la canna da zucchero aveva percorso un lungo itinerario verso ovest, attraverso il Vicino Oriente, Cipro e la Sicilia. Dalla seconda metà del '400 la si coltivava nelle isole atlantiche a ridosso dell'Africa (Madera, Azzorre, Canarie, São Tomé, Principe) e vi si impiegava il lavoro degli schiavi. Di lì la canna da zucchero varcò l'oceano e si affermò in Brasile nella seconda metà del '500.
Per la coltivazione della canna sono necessari un clima caldo-umido, energia idrica o animale, legname, capitali per i mulini di spremitura (engenhos do assucar) e una larga disponibilità di manodopera da impiegare soprattutto nella raccolta. I portoghesi disponevano dei limitati capitali occorrenti per le macchine o potevano contare su anticipi dalla madrepatria; il Brasile forniva tutto il resto, ma non la manodopera. Gli indios, infatti, dove non erano stati decimati, erano considerati troppo ostili o fisicamente inadatti al lavoro organizzato e disciplinato delle piantagioni. Così cominciarono ad essere importati
schiavi neri dall'Africa.
Gli insediamenti commerciali portoghesi sulle coste africane operarono come centri di raccolta verso i quali venivano convogliati i neri fatti prigionieri in azioni di guerra o in razzie nell'interno. Gli schiavi erano in primo luogo vittime delle guerre fra gli "Stati" africani o fra le tribù, conflitti ai quali si associavano spesso gli europei. Era proprio il loro status di prigionieri di guerra a giustificarne la schiavitù. Del resto non furono gli europei a introdurre la schiavitù, che era invece una istituzione diffusa in Africa e tenuta viva dalla domanda del mondo arabo. Gli europei diedero una nuova ampiezza a questo mercato tradizionale, offrendo, in cambio degli schiavi, prodotti molto richiesti e di prestigio, come tessuti, chincaglieria, ferramenta minuta, coltelli, ma soprattutto armi da fuoco e cavalli. I portoghesi, che controllavano nel '500 questa realtà di scambio, imbarcavano schiavi in Africa, li vendevano in America e riportavano in Europa le navi cariche di zucchero o di melassa: così i traffici legati allo zucchero si configuravano come un
commercio triangolare che sarebbe divenuto caratteristico dell'intero sistema mercantile atlantico.
L'economia delle piantagioni (non solo di canna da zucchero, ma anche di caffè, tabacco, cotone), fondata sul lavoro degli schiavi, presto si diffuse dal Brasile ad altre zone dell'America: le Antille prima e in seguito l'America del Nord. Data l'elevata mortalità degli schiavi nelle piantagioni (nelle quali la speranza di vita non superava i dieci anni), la manodopera nera andava continuamente rinnovata. La forzata immigrazione degli africani (si calcola che ne furono "importati" da 10 a 11 milioni tra il 1500 e il 1807: p. 329) non solo produsse durature trasformazioni nelle strutture sociali ed economiche, ma diede luogo ad una vera e propria rivoluzione etnica e demografica. Quando, agli inizi dell'800, fu possibile al tedesco Alexander von Humboldt tracciare un quadro statistico della popolazione americana, risultò che i neri di origine africana erano il ceppo più numeroso in Brasile e di gran lunga maggioritario nelle Antille.
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