7.5 La guerra dei Paesi Bassi
Sul continente, Filippo II registrò un importante successo con l'unificazione, sotto la sua corona, dell'intera penisola iberica. Si trattò di un'improvvisa circostanza favorevole, che il sovrano sfruttò con grande abilità. Nel 1578 il giovane re del Portogallo, Sebastiano di Braganza (1557-78) si lanciò in un'impresa temeraria attaccando il potente sultanato musulmano del Marocco. Sebastiano sentiva vivissimo il mito della crociata, ed era animato da sogni di gloria, ma la sua spedizione, mal preparata, si concluse nella disastrosa sconfitta di Alcazarquivir, dove egli stesso perse la vita.
Il più accreditato candidato al trono portoghese era proprio Filippo II, zio del defunto re, i cui diritti erano sostenuti dal clero e da gran parte della nobiltà, che era rimasta impressionata dal disastro marocchino e aveva verificato la debolezza dello Stato portoghese, gigantesco dal punto di vista territoriale, ma debole dal punto di vista economico, demografico e militare. Appoggiavano la sua candidatura anche i mercanti portoghesi, che vedevano nell'unione con la Spagna l'occasione per entrare in un più vasto circuito di traffici. Una fazione antispagnola favorevole alla nomina di un re locale, sostenuta dagli inglesi e dai protestanti olandesi e francesi, fu rapidamente sconfitta dalle truppe spagnole guidate dall'efficiente e crudele duca d'Alba. Nel 1580 Filippo II salì sul trono del Portogallo.
Nello stesso anno 1580 fu firmato un armistizio tra gli spagnoli e i turchi. La Spagna, ora padrona anche del Portogallo, si trovava quindi nella condizione ideale per potenziare la propria sfera d'influenza lungo le coste dell'Atlantico, e per collegare meglio il cuore dell'impero ai possedimenti dei
Paesi Bassi (un'area corrispondente agli odierni Stati dell'Olanda, del Belgio, del Lussemburgo e a una parte della Francia settentrionale). Questi ultimi costituivano un complesso territoriale assai eterogeneo, con diciassette province governate da assemblee (gli "Stati") provinciali e da un Parlamento comune, gli Stati generali. Le singole province erano, poi, divise da profondi contrasti economici e da differenze linguistiche e culturali. Il controllo di questa regione poneva problemi estremamente difficili, che non si riscontravano negli altri domini dell'impero. Gli italiani, per esempio, tolleravano abbastanza bene il dispotismo spagnolo: in Sicilia e in Sardegna lo conoscevano ormai da secoli, mentre altrove, a Napoli come a Milano, esso non appariva troppo diverso dall'assolutismo dei principi rinascimentali. Nei Paesi Bassi, invece, gli abitanti, tradizionalmente gelosi della loro autonomia (che affondava le sue radici nel particolarismo delle città medievali) sopportavano male la presenza spagnola.
I motivi di attrito tra la corona di Spagna e i sudditi dei Paesi Bassi erano numerosi. Si trattava di motivi fiscali: i sudditi nordici non accettarono mai il pesante fiscalismo spagnolo - intensificatosi per finanziare le guerre contro la Francia e contro i turchi e per alimentare la sempre crescente burocrazia statale - che drenava importanti risorse a favore di una potenza considerata lontana ed estranea. Si trattava anche di motivi politici: i nobili, gelosi dei loro privilegi e della loro autonomia feudale, non tolleravano le ingerenze del governatore spagnolo in questioni che ritenevano di loro esclusiva competenza. Si aggiungevano, infine, motivi religiosi: i calvinisti, molto attivi soprattutto tra gli artigiani, i mercanti e gli operai, ma presenti anche negli strati sociali più alti, avevano buon gioco nel saldare il risentimento delle masse e dei nobili con argomenti confessionali: resistenza allo straniero e lotta al cattolicesimo venivano presentate come facce di un'unica medaglia.
Per affrontare la situazione ci voleva una politica duttile e cauta, la mano di un monarca attento alle sfumature e agli equilibri. Filippo II non possedeva queste qualità e si mosse fin dall'inizio con molta durezza. "Potete assicurare a Sua Santità - scrisse all'ambasciatore spagnolo a Roma nel 1566 - che piuttosto che permettere il minimo danno alla religione e al servizio di Dio, perderei tutti i miei Stati e cento vite, se le avessi; perché né mi propongo né desidero essere sovrano di eretici". Convinto che il Signore gli avesse affidato il compito di proteggere l'anima dei sudditi e di difendere la Chiesa cattolica dagli eretici, il re fece pubblicare le risoluzioni del concilio di Trento, ne pretese la rigida applicazione e diede ordine di perseguitare col massimo rigore i protestanti. Dalla lontana Castiglia egli non mostrava di comprendere a fondo le caratteristiche particolari di quella parte del suo impero. A differenza di suo padre Carlo V, il quale, essendo nato a Gand in Fiandra, aveva sempre ostentato grande equilibrio nei confronti dei Paesi Bassi, rispettando i poteri locali, Filippo II considerava quella regione come una provincia periferica, un avamposto irrequieto dei suoi domini, da tenere sottomesso senza troppe complicazioni. Questo errore di valutazione ebbe gravi conseguenze.
Per riformare la Chiesa locale, la cui inefficienza e corruzione erano sotto gli occhi di tutti, Filippo II ottenne dal papa l'istituzione, nei Paesi Bassi, di quattordici nuovi episcopati di nomina regia. Con questo provvedimento Filippo avrebbe accresciuto enormemente il potere della corona nel paese, non solo ponendo sotto il proprio diretto controllo l'organizzazione episcopale e intensificando ulteriormente la persecuzione religiosa, ma anche immettendo negli Stati provinciali e generali uomini di propria fiducia (i vescovi avevano infatti il diritto di partecipare a quelle assemblee), incrinando in tal modo le autonomie locali. Le reazioni a questa manovra furono molto accese e fecero perdere al sovrano il sostegno di una parte consistente della nobiltà, che si vedeva privata di una fetta di potere e della possibilità di avviare - com'era usanza - i propri figli cadetti all'alta carriera ecclesiastica, con le ricche prebende e i benefici che essa comportava. Il provvedimento finì quindi per privare la corona di appoggi preziosi in seno alla stessa classe dirigente.
La rigidità della politica di Filippo in campo religioso e il malessere sociale fecero precipitare la situazione. Il via alla rivolta fu dato nel 1566 dagli strati popolari delle città dove il calvinismo era penetrato maggiormente: ad Anversa, Bruges, Tournai, Gand, Ypres e in tanti altri centri, le masse popolari - esasperate da anni di disoccupazione, di rincaro dei prezzi, di fame, e sobillate dai calvinisti - si diedero a saccheggiare chiese e conventi, a massacrare preti e monache, ad abbattere le immagini sacre. Il re inviò allora nella regione il migliore dei propri generali, il duca d'Alba, le cui grandi capacità militari non si accompagnavano però a un pari talento politico.
Giunto nei Paesi Bassi alla testa di un potente esercito composto in larga parte da spagnoli e italiani, il duca eseguì con la massima severità le istruzioni del suo sovrano: punire i rivoltosi, consolidare l'autorità della corona, eliminare gli eretici, ripristinare la regolarità del prelievo fiscale. Dal 1567 al 1573 i soldati del duca procedettero a una sistematica repressione, mentre un tribunale speciale da lui istituito, il Consiglio dei torbidi, decretava migliaia di condanne a morte, meritandosi l'appellativo di "tribunale di sangue". Il terrore si abbatté anche sulla nobiltà e persino su personaggi di alto lignaggio come i nobili Egmont e Hornes, che pure avevano svolto una preziosa opera mediatrice tra la corona e il popolo.
La rivolta assunse sempre più i connotati di una vera e propria guerra e si colorì di tinte "nazionali": l'oppressione spagnola era riuscita a offuscare le antiche divisioni e le rivalità tra le varie province e a far nascere il sentimento di un loro legame comune contro lo straniero. I ribelli furono ora apertamente appoggiati da quei nobili, anche cattolici, che non approvavano i metodi degli spagnoli e li ritenevano un'offesa al proprio popolo e alla propria terra. Essi presero il nome di pezzenti, attribuendosi come emblema l'epiteto con cui un cortigiano aveva inteso offenderli. Dalla loro parte si schierò anche il più prestigioso e ricco tra i nobili dei Paesi Bassi,
Guglielmo I di Nassau, principe di
Orange (una città della Francia meridionale nei pressi di Avignone). Con Guglielmo d'Orange i ribelli ebbero quello di cui ancora mancavano: un capo di grande prestigio e abilità, che tenesse in mano le fila della rivolta.
Per gli spagnoli la conduzione della guerra si fece sempre più difficile. I Paesi Bassi erano praticamente irraggiungibili per via di terra dalla Spagna, mentre la rotta atlantica diventava sempre più pericolosa: una flotta da corsa organizzata dai ribelli (i cosiddetti pezzenti d'acqua) e aiutata dagli inglesi dava la caccia alle navi spagnole infliggendo loro gravissime perdite.
Nel 1572 Guglielmo d'Orange fu nominato dai ribelli governatore delle province del Nord, ormai praticamente sottratte al dominio spagnolo e irrecuperabili: province importanti come l'Olanda e la Zelanda, protette dalla parte del mare dai corsari, lo erano anche dalla parte di terra grazie ai fiumi che solcavano la regione e agli acquitrini che i ribelli avevano creato con l'apertura delle dighe: un labirinto di paludi, insenature, canali offriva ai rivoltosi la possibilità di rifugiarsi in migliaia di nascondigli naturali e di lanciare all'improvviso agguati e imboscate. Le province del Sud, in prevalenza cattoliche, restarono invece sotto il controllo spagnolo.
La sostituzione del duca d'Alba con altri governatori non mutò l'andamento del conflitto, che proseguì in un crescendo di violenza dall'una e dall'altra parte. Il tremendo saccheggio della città di Anversa da parte dei soldati spagnoli, inferociti per non aver ricevuto da molti mesi la loro paga, e i massacri che vi si accompagnarono, suscitarono in tutti i Paesi Bassi un'ondata di indignazione così grande da accelerare quell'unione tra province del Nord e province meridionali in funzione antispagnola (
Unione di Gand, del 1576), che fu il capolavoro politico di Guglielmo d'Orange. Soltanto l'abilità del nuovo governatore spagnolo, Alessandro Farnese, riuscì a recuperare alla Spagna le province meridionali. La politica del Farnese fu duplice: da un lato egli organizzò meglio le operazioni militari conseguendo importanti successi sul campo; dall'altro mostrò di voler rispettare molto più dei suoi predecessori le autonomie locali e le prerogative dell'aristocrazia; egli ebbe inoltre buon gioco nel fare appello ai sentimenti religiosi dei cattolici, agevolato in questo dall'intolleranza reciproca tra le province protestanti e quelle cattoliche: l'Unione di Gand si sfasciò anche perché le province calviniste del Nord non volevano concedere libertà di culto ai cattolici, mentre le province cattoliche del Sud non volevano concederla ai calvinisti. Si giunse così alla spaccatura, e nel 1579 i cattolici diedero vita all'
Unione di Arras, che si contrappose all'
Unione di Utrecht, protestante, fondata lo stesso anno. Da quest'ultima nacque la
Repubblica delle sette Province Unite, indipendente dalla Spagna e destinata a un grande avvenire. La guerra delle Province Unite contro la Spagna sarebbe proseguita con esiti alterni per circa un trentennio, sotto la guida di Maurizio d'Orange, figlio di Guglielmo, ucciso nel 1584 da un sicario spagnolo.
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