8. La crisi del '600 e la guerra dei Trent'anni
8.1 Crisi demografica e crisi agricola
Il XVI secolo, cronologicamente chiuso dalla morte di due grandi sovrani, Filippo II (1598) ed Elisabetta d'Inghilterra (1603), era stato un periodo di espansione economica e di incremento demografico. Benché la crescita della popolazione, unita all'afflusso di grandi quantità di metalli preziosi dalle Americhe, avesse causato un forte aumento dei prezzi dei beni di consumo, con la conseguente riduzione del potere di acquisto dei salari, gli imprenditori commerciali e i proprietari di aziende agricole avevano ampliato il volume delle loro attività e realizzato cospicue fortune (
2.3). L'Italia aveva svolto sempre un ruolo centrale, rappresentando (soprattutto in Toscana e al Nord) l'area di più intensa concentrazione delle manifatture, il crocevia dei traffici commerciali mediterranei, oltre che il paese culturalmente più evoluto.
Nei primi decenni del XVII secolo ebbe invece inizio un complicato processo di crisi, che per certi aspetti colpì indistintamente tutti i paesi europei, per altri penalizzò particolarmente l'area mediterranea, in primo luogo Spagna e Italia: la cosiddetta
crisi del '600. Essa non fu solo una battuta d'arresto nel processo di crescita avviatosi nel secolo precedente, ma una fase di profonde e diseguali trasformazioni, che ridisegnarono in modo quasi definitivo il volto dell'Europa moderna, determinando quello squilibrio tra Nord e Sud del continente che ancora oggi fa sentire il suo peso.
Un aspetto importante della crisi del '600 fu la
stagnazione o, in taluni casi, il
decremento demografico. Intorno al 1590 la popolazione europea era giunta a contare circa 100 milioni di abitanti; alla fine del '600 questa cifra era sostanzialmente inalterata. L'elevato ritmo di crescita cinquecentesco ebbe un brusco arresto fin dai primi del XVII secolo, ma due linee di tendenza diverse si registrarono nel Nord e nel Sud dell'Europa. Tra il 1600 e il 1650 l'Italia passò da 12 milioni circa di abitanti a 11, e la Spagna con il Portogallo da 10,5 a 9,25; Olanda e Inghilterra ebbero invece incrementi contenuti e la Francia rimase in una situazione stazionaria. Tutti i paesi europei furono toccati da problemi che minacciavano la consistenza delle popolazioni, ma fu l'area mediterranea a subire le perdite maggiori.
Come su tutti i grandi fenomeni economici e demografici dell'età medievale e moderna, anche su questo gli storici s'interrogano senza riuscire a trovare risposte sicure. Ancora una volta ci si muove pertanto sotto il segno della probabilità e non della certezza assoluta. È probabile che la crisi sia stata innescata da un processo di polarizzazione della ricchezza accentuatosi progressivamente nel corso del '500.
Durante il '500, l'aumento della popolazione aveva reso molto facile, per i grandi proprietari, accrescere il proprio livello economico mediante l'aumento delle rendite e del prelievo signorile, piuttosto che attraverso un incremento della produzione: il loro reddito era aumentato parallelamente alla crescita della popolazione e al connesso minor costo della manodopera. Ma il diffuso impoverimento dei lavoratori provocò il crollo della domanda sul mercato: la gente guadagnava meno e comprava meno. Questa contrazione del mercato, a sua volta, ridusse gli stimoli all'investimento produttivo; la ricchezza accumulatasi nelle mani dei grandi proprietari prendeva altre vie e alimentava soprattutto spese di lusso e di prestigio. Da qui una serie di reazioni a catena, in conseguenza delle quali il sistema economico si avvolgeva a vite su se stesso.
Dall'impoverimento della popolazione discese direttamente il regresso demografico. Il peggioramento delle condizioni di vita e la diminuzione del reddito pro capite spingevano ampie frange della popolazione a ritardare l'età di matrimonio, con conseguente diminuzione del numero medio di figli per coppia.
Queste tendenze di fondo della crisi del '600 furono aggravate da altre circostanze. Tra queste, il clima. Intorno al 1590 circa ebbe infatti inizio una fase di raffreddamento del clima europeo, destinata a durare fino alla metà del secolo scorso. La dipendenza dell'agricoltura dai fattori climatici era stata accentuata dalla diffusione della cerealicoltura. Come si ricorderà, la "cerealizzazione" dell'agricoltura europea era stata una delle conseguenze più importanti della crescita demografica del '500 (
2.2). Il fenomeno, positivo sul medio periodo, indebolì, alla distanza, le possibilità di difesa dalle avversità delle stagioni: è evidente, infatti, che tanto più sono varie le colture, tanto più è difficile che le variazioni climatiche danneggino contemporaneamente tutta la produzione agricola. È stato giustamente detto che la diversificazione delle colture rappresentava una sorta di "assicurazione" per le popolazioni rurali; per gli stessi motivi, la monocultura era un fattore di debolezza. La diffusione dei cereali a spese dell'allevamento rese inoltre molto più scarsa la disponibilità dell'unico fertilizzante allora disponibile ovunque, il concime: i suoli tendevano quindi a esaurirsi e le rese ad abbassarsi.
Lo spettro delle
carestie, che si susseguivano a ondate, si riaffacciò in quasi tutta l'Europa continentale; soltanto l'Olanda e l'Inghilterra ne furono risparmiate grazie a un'accentuata specializzazione della produzione agricola e al suo orientamento verso il mercato. L'Olanda, in particolare, si affermò nell'allevamento bovino, nella lavorazione dei prodotti caseari, nella produzione di piante industriali, rinunciando a produrre cereali, che venivano importati a prezzi molto vantaggiosi dalle regioni baltiche, grazie a un'imponente organizzazione commerciale. Resistettero quindi meglio quelle aree dove si verificò rapidamente un'inversione di tendenza rispetto alla precedente cerealizzazione e dove i campi a grano furono riconvertiti in vario modo.
Come sempre in questi casi, al diffondersi delle carestie si intrecciò il riesplodere delle
grandi epidemie. Nella prima metà del '600 furono colpite in modo particolarmente grave la Spagna, l'Italia, la Germania; nella seconda metà del secolo la Francia, l'Inghilterra, l'Olanda. Favorite dal calo della produzione agricola e dalle carenze alimentari che ne derivarono, le epidemie contribuirono a loro volta ad accentuare il calo della produzione, poiché la richiesta di alimenti di base si contrasse progressivamente insieme con la popolazione decimata dalle malattie.
La crisi della produzione agricola ebbe effetti rilevanti anche sul piano delle strutture economiche e sociali. Olanda e Inghilterra, con qualche analogo tentativo in Francia, in Italia settentrionale e nei paesi scandinavi, reagirono alla recessione potenziando gli investimenti di tipo capitalistico avviati già durante il '500 (
2.2). Questo comportò la trasformazione di una parte della nobiltà fondiaria in ceto di imprenditori terrieri, a cui si aggiunsero elementi di estrazione borghese-mercantile, fortemente inclini all'acquisizione delle terre fertili disponibili, all'impiego di manodopera libera salariata, alla razionalizzazione delle tecniche e dei programmi di produzione.
Questo processo provocò una dura selezione in una parte del mondo rurale: se alcuni agricoltori raggiunsero una condizione di agiatezza, molti persero i loro piccoli fondi, inadeguati a sostenere la concorrenza di unità produttive molto più grandi e attrezzate, e si ridussero allo stato di braccianti o di lavoratori a domicilio, oppure si inurbarono, andando a ingrossare la massa del mendicanti e dei vagabondi.
Anche in Spagna e in Italia (soprattutto nel Meridione:
10.3) il sensibile calo delle rendite signorili fu recuperato, ma certo non attraverso un aumento della produttività. In questi paesi si verificò, infatti, un forte processo di
rifeudalizzazione, vale a dire di ripristino dei tradizionali diritti signorili ai danni dei contadini, soprattutto in termini di aggravamento dei canoni di affitto, di riduzione delle libertà personali, di moltiplicazione delle prestazioni d'opera gratuite. I diritti delle comunità di villaggio furono erosi, mentre anche le piccole proprietà, offerte in pegno per ottenere prestiti, cadevano nelle mani dei signori. Nell'Europa orientale l'ondata di rifeudalizzazione fu ancora più forte e portò alla vera e propria affermazione di una seconda servitù della gleba. Questo dipese dal fatto che la specializzazione delle aree a est dell'Elba nella produzione cerealicola da esportazione dipendeva da una domanda dei paesi occidentali e meridionali di grani a basso costo: in Polonia, come nelle altre regioni baltiche, la grande nobiltà fondiaria si arricchì fornendo grani il cui prezzo assai contenuto era compensato da costi di produzione bassissimi, quasi interamente scaricati sulle spalle dei contadini asserviti.
Torna all'indice