12.2 La persecuzione delle minoranze religiose
L'esigenza di uniformità e di controllo investì anche quei settori della vita religiosa e dell'organizzazione ecclesiastica che presentavano aspetti di difformità, diversità o dissidenza. Fu dunque per ragioni essenzialmente politiche che vennero perseguitati sia i giansenisti che gli ugonotti.
Il
giansenismo fu il principale movimento di dissidenza cattolica del '600 e del '700. Nato dalle tesi del teologo olandese Cornelio Giansenio (1565-1638), professore a Lovanio e poi vescovo di Ypres, ebbe largo seguito nei Paesi Bassi, in Francia, Italia, Germania e nei domini austriaci. Diffusosi precocemente in Francia grazie all'opera dell'abate di Saint-Cyran e di Antoine III Arnauld, vi trovò numerosi adepti. Condannato a più riprese da Roma a partire dal 1641 e definitivamente nel 1713, con la bolla Unigenitus, il giansenismo riprendeva le posizioni di Sant'Agostino (Augustinus si intitolò la principale opera di Giansenio, pubblicata postuma nel 1640), sostenendo che la grazia costituiva un dono divino concesso soltanto ai predestinati, secondo un disegno imperscrutabile e indipendentemente dai meriti: solo così la volontà umana diviene veramente libera di operare il bene, in cooperazione con la grazia. A questa visione si accompagnava una religiosità austera e rigorosa, nemica delle esteriorità e avversa a ogni forma di compromesso, di indulgenza e di lassismo. Una religiosità che si opponeva alla pratica - propria soprattutto dei gesuiti e del loro sistema di confessione e di apostolato - di attenuare e modificare la norma morale in rapporto alle singole situazioni o "casi" (casistica).
Nella polemica antigesuitica si distinse lo scienziato e filosofo Blaise Pascal (1623-62) con le Provinciali (1657), lettere scritte nel periodo in cui era membro della più importante comunità di giansenisti, quella che si riuniva intorno ai due monasteri di
Port-Royal (nella regione parigina e nella capitale). Luigi XIV intervenne più volte contro Port-Royal che fu soppresso definitivamente nel 1709, non prima di essere divenuto anche un attivissimo centro culturale e di opposizione politica, che faceva proseliti soprattutto fra la nobiltà di toga. Il richiamo costante ai diritti della coscienza, in opposizione all'autorità, aveva infatti trasformato Port-Royal, sia per quanti lo difendevano che per i suoi avversari, in una sorta di radicale alternativa al sistema di corte e alle pratiche religiose ufficiali.
L'intervento dello Stato in materia ecclesiastica non era una novità in Francia: poggiava anzi sulla lunga tradizione delle cosiddette "libertà gallicane" (ossia dei galli, l'antico nome degli abitanti della Francia), espressione che designava l'autonomia da Roma del re di Francia soprattutto nella nomina dei vescovi e dei titolari dei benefici ecclesiastici. Il
gallicanesimo fu ribadito da Luigi XIV che fece approvare dal clero francese, nel 1682, una dichiarazione (redatta da Bossuet) nella quale si affermava anche la superiorità del concilio sul papa e insieme si negava l'infallibilità del pontefice, se privo del consenso generale della Chiesa.
In qualche misura anche la persecuzione degli ugonotti fu un atto indipendente del papato, così come lo era stata la politica di tolleranza nei loro confronti. Mentre Richelieu aveva combattuto e distrutto i privilegi politici e militari dei calvinisti francesi, mantenendo tuttavia quelli religiosi, Luigi XIV decise di riportare il paese all'unità in materia di fede. Questo atteggiamento rispondeva a un insieme di motivi diversi: la convinzione del re che la Francia non avesse più bisogno dell'alleanza internazionale dei principi protestanti si unì al desiderio di apparire, agli occhi del mondo cattolico, come il campione della cristianità - titolo che, dal 1683, sembrava spettare all'imperatore austriaco che era riuscito a respingere la minacciosa avanzata dei turchi (
13.2) -. Infine, Luigi subiva ormai apertamente l'influenza della sua amante (e poi moglie segreta), la marchesa di Maintenon, che lo avviò, insieme al suo confessore gesuita, verso atteggiamenti devoti e formalmente rispettosi del cattolicesimo tradizionale. La persecuzione della dissidenza religiosa sembrava inoltre voler bilanciare la politica gallicana. Dal 1679 fu favorita in ogni modo, anche con compensi in denaro e sgravi d'imposta, la "conversione" degli ugonotti. Furono ulteriormente ridotte le loro libertà di culto, già da tempo osteggiate, e fu loro imposto di alloggiare in casa soldati del re, autorizzati a compiere ogni sorta di vessazioni.
Nel 1685 si volle far credere che l'eresia della religione "cosiddetta riformata" fosse ormai interamente scomparsa per giustificare la promulgazione dell'
editto di Fontainebleau, che revocava quello di Nantes del 1598. I pastori protestanti furono espulsi dalla Francia, ma ai fedeli si vietò di abbandonare il paese. Nonostante i divieti, 200-300.000 ugonotti (su oltre un milione) lasciarono il paese per rifugiarsi in Svizzera, Germania, Inghilterra e Olanda. Si trattò per gran parte di artigiani, ma molti furono anche i mercanti, gli intellettuali e gli uomini di cultura. Pochi invece i contadini. L'esodo fu duramente ostacolato dalle truppe francesi, come in Piemonte dove si unirono a quelle di Vittorio Amedeo II per espellere (1686) i valdesi - che avevano dato aiuto ai correligionari ugonotti - dalle valli alpine in cui risiedevano da secoli (ma dove potranno tornare tre anni dopo).
Gli ugonotti portarono all'estero la loro abilità e specializzazione tecnica, soprattutto nel campo tessile. Decisivo fu il loro apporto al popolamento di Berlino e allo sviluppo delle attività manifatturiere nel Brandeburgo dove si rifugiarono in 20.000. Circa 65.000 furono i rifugiati in Olanda e fra questi numerosi intellettuali che vi costituirono importanti centri di produzione culturale antifrancese e antiassolutista. La revoca dell'editto di Nantes fu per la Francia una perdita netta soprattutto in termini di capitali e di risorse umane. Dal punto di vista politico fu un trionfo dell'assolutismo monarchico e costituì la dimostrazione che, di fronte ai poteri di controllo e intervento ormai raggiunti dallo Stato, la minoranza religiosa non era più in grado di opporre, come sarebbe accaduto solo qualche anno prima, lo scatenamento di una guerra civile.
La sola reazione armata legata alla revoca dell'editto di Nantes fu l'assai più tarda rivolta popolare dei camisards (dalle "camicie" che portavano sugli abiti per mimetizzarsi nelle incursioni notturne) che, fra il 1702 e il 1704 - ma con strascichi fino al 1713 -, infiammò la regione montana della Cevenne, unendo la protesta per la persecuzione contro gli ugonotti (assai numerosi in quella zona del Mezzogiorno francese) ai tradizionali motivi antifiscali. Il potenziamento della fiscalità regia fu infatti la causa principale delle rivolte popolari del '600 che, diversamente da alcuni episodi del secolo precedente, non ebbero quasi mai il carattere di rivolte antifeudali o antisignorili. Un'eccezione fu la sollevazione dei bonnets rouges (berretti rossi) in Bretagna (1675), che presero di mira sia l'intervento degli intendenti, volto a modificare le consuetudini locali, che gli eccessi del prelievo feudale e signorile. Ma con il 1675 le rivolte popolari praticamente cessarono in una Francia ormai stabilmente ridotta all'obbedienza.
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