17. Alle origini della rivoluzione industriale
17.1 La rivoluzione industriale
Con una serie di profondi mutamenti nelle forme di produzione prese avvio in Inghilterra, tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, la "rivoluzione industriale". Il termine rivoluzione non sta qui ad indicare il carattere improvviso e rapido del cambiamento quanto piuttosto a sottolinearne l'aspetto irreversibile e radicale. In un arco di tempo relativamente breve una fase di sviluppo economico senza precedenti, caratterizzata da una crescita gradualmente accelerata, modificò profondamente un assetto economico-sociale stabile e sostanzialmente stagnante. Il passaggio da una economia agricolo-artigianale a una economia industriale, fondata sulla
fabbrica, si affermò in tempi successivi e con differenti modalità anche nel continente europeo, avviando quella trasformazione dell'organizzazione sociale, dei sistemi politici, dei modelli culturali e degli stessi comportamenti individuali che caratterizza ancora oggi le aree sviluppate del mondo contemporaneo e che esercita un profondo condizionamento anche su quelle arretrate.
Per quali ragioni la rivoluzione industriale si verificò inizialmente in Inghilterra e quali fattori concorsero a determinarla? Sono questi gli interrogativi a cui la storiografia, in oltre un secolo di dibattiti, ha tentato di fornire una risposta. Alla fine del '600 l'Inghilterra presentava per certi versi caratteristiche simili a quelle di altri paesi europei: l'attività economica prevalente era rappresentata dall'agricoltura, tanto che, secondo stime dei contemporanei, l'80% degli abitanti lavorava nei campi e viveva dei prodotti della terra; le attività industriali, fra le quali predominavano quelle tessili, erano organizzate prevalentemente su scala domestica e l'unità tipica di produzione era costituita dalla famiglia. Una quota notevole del prodotto, in tutti i rami di attività, era destinata all'autoconsumo ed anche quella parte che veniva commercializzata entrava in un mercato estremamente ristretto a base locale o al massimo regionale. La popolazione era infatti dispersa nelle campagne e i contatti e gli scambi erano precari anche per la scarsità delle vie di comunicazione interne. Tanto i redditi individuali che la ricchezza nazionale e la sua distribuzione tra i diversi ceti sociali conoscevano modeste oscillazioni lungo intervalli di tempo secolari. La crescita economica si scontrava con quelle che sembravano essere le leggi naturali e immodificabili dell'equilibrio fra popolazione e disponibilità di risorse alimentari. A questa condizione "malthusiana" (
15.1) si aggiungeva la strozzatura energetica legata al ridotto rendimento delle fonti disponibili: acqua, aria, animali, lavoro umano.
Se molti erano dunque gli elementi che accomunavano l'Inghilterra al resto d'Europa, molte erano anche le differenze, divenute ancor più significative alla metà del '700. Come scrive lo storico inglese Eric Hobsbawm, la Gran Bretagna, intorno al 1750, avrebbe colpito un viaggiatore straniero "come un paese ricco, e ricco soprattutto grazie al suo commercio e al suo spirito d'iniziativa; come uno Stato di potenza formidabile, ma la cui forza si basava sulla marina, un'arma cioè essenzialmente fondata sul commercio e orientata verso i traffici; come uno Stato in cui erano straordinariamente presenti la libertà e la tolleranza, cose a loro volta strettamente collegate col commercio e la classe media. E sebbene il paese non brillasse per aristocratiche leggiadrie di vita, spirito e joie de vivre, e fosse incline ad eccentricità religiose e d'altro genere, pure aveva senza dubbio un'economia fra le più fiorenti e progressive, e vantava una parte di spicco nei campi scientifico e letterario, per non parlare di quello tecnologico".
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