18.5 La costituzione degli Stati Uniti
Una volta ottenuta l'indipendenza, le ex colonie britanniche del Nord America dovettero affrontare i problemi relativi alla formazione di un nuovo organismo statale i cui lineamenti si presentavano abbastanza incerti. Per tutta la durata della guerra, solo l'esercito e il Congresso continentale erano stati espressione comune di tutte e tredici le colonie. Per il resto, i futuri Stati dell'Unione si erano governati da soli e si erano dati propri ordinamenti e proprie carte costituzionali (o, come il Connecticut e il Rhode Island, avevano conservato quelle che già avevano). Le costituzioni si ispiravano tutte ai princìpi del governo rappresentativo e alla tutela delle libertà fondamentali e del diritto di proprietà, ma per molti aspetti riflettevano le diverse situazioni politico-sociali e le diverse tradizioni delle colonie: la schiavitù, ad esempio, fu abolita negli Stati della Nuova Inghilterra, mentre rimase in vigore in tutto il Sud. Una sorta di costituzione provvisoria - gli Articoli di confederazione - era stata varata dal secondo Congresso continentale nel 1777: ma, nonostante rappresentasse poco più che un generico patto di alleanza, aveva suscitato le perplessità di alcuni Stati ed era entrata in vigore solo nell'81.
A guerra conclusa, i problemi derivanti dall'assenza di un forte potere centrale si fecero sentire in termini sempre più acuti. C'erano contrasti continui fra Stato e Stato per questioni di confine o per la spartizione dei nuovi territori dell'Ovest. I singoli Stati agivano senza un minimo di coordinamento in materia di politica doganale e di scambi commerciali (e stipulavano persino trattati con paesi stranieri). I mercati erano nel caos per l'assoluta precarietà dei mezzi di pagamento, dopo che la moneta nazionale era stata praticamente distrutta dall'inflazione. Le difficoltà economiche inasprivano le tensioni sociali - fra datori di lavoro e operai, fra produttori agricoli e consumatori, e soprattutto fra creditori e debitori - lasciando spazio al sorgere di movimenti di protesta a tinta radicale ed egualitaria. Il Congresso continentale - cui in teoria spettava il compito di coordinare le politiche commerciali e di istituire tasse per le necessità comuni - non aveva autorità sufficiente per imporsi ai singoli Stati.
Si giunse così, non senza dover superare contrasti e resistenze d'ogni genere, alla convocazione di una
Convenzione costituzionale che aveva lo scopo limitato di emendare gli Articoli di confederazione e che si aprì il 15 maggio 1787 a Filadelfia sotto la presidenza di George Washington. In realtà, i 55 delegati alla Convenzione - raccolti in rappresentanze statali, ciascuna delle quali disponeva di un solo voto - andarono ben oltre il compito che era stato loro affidato e crearono un'architettura costituzionale completamente nuova, destinata a reggere nelle sue linee fondamentali ancora ai nostri giorni e a fungere da modello per molte successive esperienze di regime rappresentativo. Ispirandosi al principio della divisione e del reciproco equilibrio dei poteri, la Costituzione dava vita a nuovi organi federali, in grado di esercitare la propria autorità su tutti i cittadini della Confederazione, che si trasformava così in Unione, acquistando la fisionomia di un vero e proprio Stato.
Il potere legislativo era esercitato da due Camere, le cui modalità di elezione erano regolate dai singoli Stati (quasi ovunque il diritto di voto era legato all'entità delle contribuzioni fiscali o alla semplice qualità di contribuente). La Camera dei rappresentanti, che aveva competenza per le questioni finanziarie, era eletta in proporzione al numero degli abitanti (un deputato ogni 30.000). Il Senato, cui spettava il controllo sulla politica estera, era invece composto da due rappresentanti per ogni Stato. Questa soluzione costituiva un compromesso fra le esigenze degli Stati più popolosi e le preoccupazioni degli Stati minori, destinati a essere sacrificati in un sistema di rappresentanza basato esclusivamente sulla consistenza numerica della popolazione.
Il potere giudiziario - ferma restando l'autonomia in materia dei singoli Stati - veniva posto sotto il controllo di una Corte suprema federale, composta da giudici vitalizi nominati dal presidente della repubblica con l'assenso del Senato.
Ma la maggiore novità della Costituzione stava nella creazione di un forte potere esecutivo, accentrato nella figura del
presidente della repubblica eletto ogni quattro anni con voto indiretto (cioè da un'assemblea di "grandi elettori" designati dagli Stati). Indipendente dal potere legislativo, che non concorreva alla sua elezione, il presidente era dotato di poteri amplissimi: fra l'altro deteneva il comando delle forze armate, nominava, oltre ai giudici della Corte suprema, i titolari di molti importanti uffici federali, poteva bloccare col suo veto le leggi approvate dal Congresso (termine con cui si designavano entrambi i rami del legislativo). Quest'ultimo poteva però a sua volta mettere in stato d'accusa il presidente e destituirlo se questi si fosse reso colpevole di violazioni della legge.
La Convenzione operò in assoluto segreto (solo a metà dell'800, grazie agli appunti lasciati da uno dei delegati, James Madison, se ne poterono parzialmente ricostruire le discussioni); e concluse i suoi lavori con notevole rapidità, nel settembre 1787. Ma l'approvazione a larghissima maggioranza del testo costituzionale non chiuse la discussione sulla forma di governo della nuova repubblica. Nonostante fosse stata redatta a nome dell'intero popolo delle ex-colonie e vincolasse tutti i cittadini all'osservanza dei suoi articoli, la Costituzione, per diventare operante, doveva essere approvata dalle assemblee dei singoli Stati. Fu appunto in questa fase che il dibattito costituzionale si sviluppò in termini più aperti e più vivaci.
In appoggio alla ratifica si schierarono molti fra i maggiori protagonisti della rivoluzione, a cominciare da Washington e Franklin. Ma il più importante contributo teorico in difesa della Costituzione - e soprattutto in favore della scelta di un forte potere federale - venne da alcuni intellettuali (Alexander Hamilton, James Madison, John Jay) che esposero le loro tesi in una serie di articoli, poi raccolti in un volume intitolato Il Federalista, destinato a diventare un classico del pensiero politico. Favorevoli alla soluzione federalista erano soprattutto i gruppi legati al commercio e all'industria - per i quali la stabilità politica era la necessaria premessa dello sviluppo economico -, ma anche i grandi proprietari, e in genere i ceti più conservatori, che speravano di trovare in un esecutivo forte la migliore garanzia contro il disordine sociale e le tendenze radicali.
Le idee antifederaliste avevano invece maggiore ascolto fra i ceti medio-bassi, in particolare fra i piccoli coltivatori indebitati, che vedevano nel governo centrale un possibile strumento in mano alle oligarchie finanziarie e agli affaristi delle città e che temevano di non poter essere sufficientemente rappresentati da istituzioni lontane anche fisicamente. Istanze di questo genere - spesso legate a impostazioni ideologiche di stampo democratico e "ruralista" - si facevano sentire soprattutto nelle assemblee statali, gelose delle proprie autonomie e delle proprie tradizioni di autogoverno.
Le tesi federaliste finirono comunque col prevalere quasi dappertutto: fra l'87 e l'88, la Costituzione fu approvata da undici Stati su tredici (mancavano la Carolina del Nord e il Rhode Island, che l'avrebbero peraltro approvata negli anni immediatamente successivi), per essere poi solennemente ratificata dal Congresso continentale nel settembre 1788. Nel febbraio '89 furono tenute le prime elezioni legislative. Un mese dopo, George Washington veniva eletto alla carica di presidente. Le istanze degli antifederalisti ottennero una parziale soddisfazione con l'approvazione da parte del Congresso, fra l'89 e il '91, di dieci articoli aggiuntivi, o
emendamenti, alla Costituzione (la possibilità di apportare emendamenti alla carta fondamentale era del resto prevista e regolata dalla Costituzione stessa): emendamenti che avevano lo scopo di ribadire e di tutelare i diritti individuali dei cittadini e le prerogative dei singoli Stati contro qualsiasi invadenza del potere federale.
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