16.8 Il movimento riformatore in Italia
Oltre all'Austria, alla Prussia e alla Russia, altri Stati europei furono investiti in questo periodo dal movimento riformatore: alcuni, come Spagna e Portogallo, in modo parziale o limitato agli aspetti giurisdizionalisti, altri, come Danimarca e Svezia, da un più organico progetto di rinnovamento.
In Italia alla vivacità e diffusione del pensiero illuminista corrispose un'iniziativa riformatrice limitata solo ad alcuni Stati e regioni, come la Lombardia e la Toscana, domini diretti dell'Austria o legati all'Impero asburgico, e il Regno di Napoli. Negli altri Stati gli episodi riformatori furono brevi nel tempo e modesti nei risultati: vanno ricordati tuttavia il biennio (1767-69) di lotte giurisdizionaliste guidato dal ministro Du Tillot nel Ducato di Parma, l'impegno a favore dell'istruzione nel Ducato di Modena, il catasto descrittivo (simile a quello onciario del Regno di Napoli) promosso dal papa Pio VI e l'avvio alla bonifica delle Paludi pontine nello Stato Pontificio.
Talora le riforme dell'amministrazione statale e finanziaria avvennero al di fuori del contesto dell'assolutismo illuminato e in tempi diversi. L'esempio più significativo fu quello del Regno di Sardegna, dove un rafforzamento della struttura e delle prerogative statali si realizzò nella prima metà del secolo e dove un catasto, che non aveva tuttavia la precisione e l'attendibilità dei catasti austriaci, fu già portato a termine nel 1731. Quarant'anni dopo, nel 1771, un sovrano certamente non influenzato dall'Illuminismo come Carlo Emanuele III (1730-73) si spingerà fino ad abolire i diritti feudali, seppure nelle sole terre della Savoia e previo indennizzo.
Nel Regno di Napoli uno slancio giurisdizionalista e anti-curiale accompagnò il regno di
Carlo di Borbone (1734-59) e, quando il re con il nome di Carlo III salì al trono di Spagna, la reggenza del ministro
Bernardo Tanucci (1759-76). Tuttavia, oltre alla redazione di un catasto (detto onciario, dal nome dell'unità di misura di valore), fondato non sulla misurazione compiuta dai periti dell'amministrazione finanziaria ma sulle dichiarazioni dei proprietari, non molto altro fu realizzato, salvo una serie di decisi interventi a favore degli scambi commerciali. Tale esiguità di risultati è tanto più sorprendente se messa in rapporto con l'ampiezza del dibattito e la ricchezza di proposte del ceto intellettuale. Al centro dell'interesse degli illuministi meridionali fu sempre più presente l'analisi delle condizioni sociali ed economiche; un significativo punto d'arrivo di queste ricerche è rappresentato dalla Nuova descrizione storica e geografica delle Sicilie (1786-94) di Giuseppe Maria Galanti (1743-1806) dalla quale emerse la situazione di stagnazione, povertà e arretratezza del Meridione d'Italia: un mondo, soprattutto rurale, in cui anche i ceti borghesi operavano all'interno dell'oppressivo sistema tradizionale di sfruttamento e di percezione delle rendite, senza farsi interpreti di nuove iniziative economiche imprenditoriali.
Nel Ducato di Milano, dominio dell'Impero asburgico, vennero realizzate, in ossequio ai princìpi di uniformità e centralizzazione, le stesse riforme nel campo dell'istruzione, della codificazione, della politica ecclesiastica e fiscale, che erano state avviate negli Stati ereditari della Casa d'Austria. Furono ridotti i poteri di antichi organismi rappresentativi del patriziato, come il Senato di Milano, riscattate le regalìe ossia i diritti (di dogana, di pedaggio, ecc.) spettanti allo Stato ma ceduti nel tempo soprattutto ai nobili, sottratta agli appaltatori la riscossione delle imposte (1770), promosso il libero commercio dei grani (1776 e 1786). Fra il 1749 e il 1759 fu redatto il censimento o catasto sotto la guida del funzionario toscano Pompeo Neri. Tanto i contemporanei (fra cui l'illuminista istriano Gian Rinaldo Carli) che gli scrittori di economia del XIX secolo (come Cattaneo) e una vasta letteratura successiva, hanno considerato il catasto come un potente incoraggiamento dell'attività agricola: infatti, poiché la terra avrebbe continuato ad essere tassata in base alla condizione rilevata al momento della stima catastale, ogni successivo miglioramento colturale non avrebbe comportato un aumento dell'imposta. Il catasto, mantenendo costante l'imposizione, si sarebbe tradotto quindi in un incentivo alle migliorie e alla messa a coltura dei terreni incolti, e, viceversa, in fattore punitivo nel caso di abbandono o di incuria nella gestione delle terre. In realtà queste considerazioni sopravvalutano il ruolo del meccanismo fiscale e non tengono conto del fatto che i risultati positivi dell'agricoltura lombarda anticiparono in gran parte la redazione del catasto. L'importanza dei catasti sta soprattutto nell'aver fornito allo Stato un efficace strumento fiscale e ai proprietari la certezza dei loro diritti e la possibilità di valutare l'entità della tassazione.
Salvo che per il catasto, la cui preparazione fu solo avviata, tutti gli interventi più tipici dell'assolutismo illuminato furono sperimentati nel Granducato di Toscana durante i 25 anni del governo del granduca
Pietro Leopoldo (1765-90), figlio secondogenito di Maria Teresa e futuro imperatore d'Austria. Il riformismo toscano fu contraddistinto da una marcata propensione per le soluzioni pratiche e tecniche e da una certa insofferenza per gli eccessi di teorizzazione. Atteggiamenti che caratterizzarono tanto Pietro Leopoldo che il gruppo di capaci funzionari che lo circondarono nella realizzazione delle riforme. Fra di essi spiccano le figure di Giulio Rucellai, Pompeo Neri, Francesco Maria Gianni, Angelo Tavanti.
Nella politica ecclesiastica, oltre all'applicazione dei princìpi giurisdizionalisti, furono soppressi numerosi conventi, combattute le manimorte e ostacolate in genere le attività non socialmente rilevanti del clero. Si registrò infine una convergenza con le posizioni gianseniste del vescovo di Pistoia Scipione de' Ricci culminata nell'appoggio concesso a una riforma della Chiesa toscana e dell'organizzazione ecclesiastica che si fondava sull'autonomia dei vescovi e dei parroci dal predominio di Roma e su forme più rigorose e severe di culto. Il sinodo di Pistoia (1786) mise a punto questo programma, ma l'opposizione della maggioranza del clero e l'insorgere di tumulti popolari in difesa delle tradizioni costrinsero Pietro Leopoldo a rinunciare a questo aspetto della sua politica.
La Toscana fu il primo paese ad accogliere, nel codice penale del 1786, i princìpi del Beccaria: non solo la tortura, ma anche la pena di morte venne abolita; sul piano procedurale fu riconosciuto all'imputato il diritto alla difesa e resa obbligatoria la motivazione e la pubblicazione delle sentenze.
In campo economico fu avviata una politica liberista che portò all'introduzione della libertà del commercio dei grani (1767 e 1775) e all'abolizione delle corporazioni (1770). Molte energie furono dedicate al miglioramento dell'agricoltura, in particolare con la bonifica della Maremma e della Val di Chiana. L'Accademia dei Georgofili, fondata nel 1753, contribuì con dibattiti e ricerche allo sviluppo delle tecniche e delle coltivazioni. Socialmente più significativo fu il tentativo di favorire la formazione di un ceto di piccoli proprietari contadini attraverso la concessione in affitto o livello perpetuo delle terre demaniali e di quelle requisite ai conventi. Ma le allivellazioni furono sostanzialmente un fallimento, perché nelle aste prevalsero i proprietari con maggiori disponibilità di capitali: la mezzadria rimase in Toscana il contratto base del sistema agrario.
L'attenzione per la proprietà e per i proprietari piccoli e grandi fu il cardine della riforma municipale intrapresa negli anni '80: un decentramento dei poteri dello Stato affidato al ceto dei proprietari (definito indipendentemente dalla nascita), che minava i privilegi nobiliari tradizionali e che rappresentò, anche per i suoi aspetti di autogoverno, un risultato anomalo nel quadro dell'assolutismo illuminato europeo. Altrettanto anomalo e singolare fu il progetto costituzionale (1779-82) di Pietro Leopoldo, convintosi della necessità di fondare su un rapporto contrattuale i poteri del sovrano. "Un sovrano anche ereditario è soltanto un delegato e un impiegato del popolo, per il quale egli è fatto e al quale deve tutte le sue cure, pene, veglie; [...] ad ogni paese occorre una legge fondamentale, un contratto tra il popolo ed il sovrano che limiti l'autorità e il potere di quest'ultimo", così scriveva il granduca nel 1790. Ma le opposizioni interne unite a quelle di Vienna e la sua ascesa, nello stesso anno, al trono imperiale (
16.6) gli fecero abbandonare la più audace delle sue riforme.
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