6.2 Il concilio di Trento
Il pontefice
Paolo III Farnese (1534-49), pur non trascurando l'efficacia della repressione e dell'estirpazione violenta delle eresie, non fu insensibile alle istanze riformatrici del cattolicesimo. Per questo nel 1536 insediò una commissione incaricata di analizzare i motivi della crisi e di proporre i provvedimenti necessari a sanarla. La commissione procedette a un accurato inventario dei mali del cattolicesimo e avanzò una serie di proposte di carattere disciplinare e morale. Ma a vasti settori delle stesse gerarchie ecclesiastiche appariva chiaro che fenomeni come lo scisma protestante non potevano essere affrontati unicamente facendo ricorso a provvedimenti limitati e frammentari.
Ormai non era in gioco soltanto la repressione degli abusi disciplinari, ma il recupero di tutta la religione cattolica: la dottrina, la vita morale e spirituale, l'ecclesiologia. Per questo si reclamava da tempo, nel mondo cristiano, la convocazione di un concilio ecumenico (cioè "universale") che affrontasse globalmente i problemi del rinnovamento e portasse rimedio ai mali che affliggevano il mondo ecclesiastico. I papi del '400 avevano regolarmente osteggiato la convocazione del concilio, soprattutto perché temevano che esso diventasse l'occasione per la rinascita della corrente cosiddetta conciliarista, che sosteneva la superiorità del concilio sull'autorità papale. I successi del luteranesimo e del calvinismo resero però non più rimandabile la convocazione di un concilio che tentasse di ripristinare l'unità dell'Europa cattolica: in tal senso spingevano sia alcuni esponenti illuminati del mondo cattolico, quali i cardinali Giovanni Morone, Jacopo Sadoleto, Reginald Pole, sia alcuni rappresentanti autorevoli del protestantesimo, primo fra tutti il più stretto collaboratore di Lutero, Filippo Melantone. Nell'un campo e nell'altro non mancava però chi si manifestava apertamente contrario all'accordo: cattolici che continuavano a chiedere ai protestanti la ritrattazione e la sottomissione, protestanti che volevano umiliare il papato.
Il concilio fu convocato a
Trento nel maggio del 1542 da Paolo III. La scelta cadde su Trento per non dispiacere né ai cattolici né ai protestanti. La città, infatti, era italiana ma apparteneva territorialmente all'Impero. I lavori si protrassero per circa un ventennio: a causa della guerra tra Carlo V e Francesco I (
5.5) cominciarono effettivamente solo nel dicembre del 1545 (dopo la pace di Crépy) e si conclusero nel 1563, non senza un tentativo di spostare la sede a Bologna (negli anni 1547-49) e un'interruzione decennale (dal 1552 al 1562) dovuta all'ostilità del pontefice Paolo IV (
6.4).
Prima che il concilio avesse inizio erano già tramontate le speranze di farne un'occasione di riconciliazione. I protestanti decisero infatti di non prendervi parte: non accettarono il ruolo preminente che il papa pretendeva di avervi e la partecipazione dei soli ecclesiastici, che contraddiceva il principio luterano del sacerdozio universale dei credenti. L'incontro divenne allora un'assemblea interna al mondo cattolico: l'ispirazione del concilio era ecumenica, ma la partecipazione fu ristretta non solo nel numero (circa 60 partecipanti alla prima seduta, 235 all'ultima) ma anche nella rappresentanza geografica: circa i tre quarti dei partecipanti erano italiani; seguivano spagnoli, greci, francesi, tedeschi, inglesi.
Fin dall'esordio si confrontarono nel concilio due tendenze: la prima spingeva perché esso affrontasse soprattutto problemi di carattere istituzionale e disciplinare; la seconda insisteva invece per una preminente attenzione alle questioni dogmatiche e teologiche. È chiaro che l'accentuazione dell'uno o dell'altro aspetto presupponeva una visione diversa dei rapporti con i protestanti: la preminenza attribuita alle questioni disciplinari metteva in secondo piano il dissidio dogmatico e teologico, evitando di formalizzare una rottura insanabile; la preminenza attribuita alle questioni dogmatiche e teologiche spostava al contrario il confronto su un piano dove la contesa era più infuocata. Alla prima era favorevole, tra gli altri, lo stesso imperatore Carlo V, preoccupato di trovare un accordo tra i principi cattolici e quelli protestanti che rendesse meno instabile il quadro politico tedesco; la seconda era invece sostenuta dal pontefice. Per evitare che questo duplice orientamento sfociasse in un aperto dissidio, si decise di organizzare i lavori in modo che i due aspetti, il dogmatico e il disciplinare, fossero trattati parallelamente e organicamente. A questa impostazione unitaria il concilio si attenne durante tutto il suo svolgimento e nell'elaborazione delle sue conclusioni.
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