19.4 La rivoluzione popolare: 1791-92
Lo scisma religioso e la fuga del re minavano gli elementi portanti del consenso e dell'identità collettiva del popolo francese. La "nazione", veniva privata di un suo punto di riferimento unitario. In questo contesto poterono svilupparsi ipotesi di un regime politico alternativo.
Il re fu dapprima sospeso dall'Assemblea costituente, poi discolpato (si disse che era stato rapito!). Mentre si rafforzavano le correnti repubblicane, i moderati, confluiti nel club dei
foglianti, dopo una scissione dei giacobini, cercarono di pilotare la crisi tra gli scogli di una opposizione sempre più forte. Frattanto, il 17 luglio, una manifestazione repubblicana al Campo di Marte era stata repressa dalla Guardia nazionale: la milizia borghese aveva sparato sul popolo e fatto 50 morti. La divaricazione fra rivoluzione liberale e rivoluzione democratica, fra moderati e radicali era divenuta ormai insanabile.
In una situazione di incertezza istituzionale, il 30 settembre 1791 si sciolse l'Assemblea nazionale costituente e il 1° ottobre si riunì il nuovo Parlamento, l'
Assemblea legislativa. La norma che aveva escluso tutti i membri della disciolta costituente accentuò l'importanza dell'attività politica esterna all'Assemblea, quella che si svolgeva nei club. I foglianti avevano oltre 250 deputati su 745 che, sommati ai 350 "costituzionali" (ossia quanti si riconoscevano nella costituzione), davano una larga maggioranza moderata e tendenzialmente monarchica, anche se la fiducia nel re era stata profondamente scossa dalla fuga di Varennes. Fra i 136 giacobini, particolarmente attivi erano i seguaci di Brissot, fra i quali si segnalavano alcuni brillanti deputati della Gironda (la zona di Bordeaux), come Vergniaud, Gaudet, Gensonné.
A differenza di quanto ritenevano o auspicavano i foglianti, la rivoluzione era tutt'altro che finita. Nessuna forza era in grado di esercitare un'egemonia politica e tutti i contrasti rimanevano aperti. La corte e gli emigrati continuavano a organizzare la controrivoluzione, rafforzati in questo disegno dall'atteggiamento di Austria e Prussia che, con la dichiarazione di Pillnitz in Sassonia (agosto 1791), si erano schierati a favore di una soluzione moderata e minacciavano in caso contrario un intervento delle potenze europee. Il malessere sociale, la svalutazione dell'assegnato (trasformato ormai in moneta cartacea), la scarsezza di generi alimentari mantenevano elevato il livello di mobilitazione dei ceti popolari. Una mobilitazione che nella situazione rivoluzionaria aveva sempre esiti e contenuti politici.
L'eventualità della guerra si faceva sempre più vicina: non era tuttavia soltanto una minaccia esterna, ma si presentava come uno sbocco inevitabile ai conflitti interni. Premevano infatti per la guerra sia il re, che contava su una sconfitta della Francia rivoluzionaria, sia i brissotini (solo in seguito saranno chiamati
girondini), il gruppo più dinamico dell'Assemblea, certi che una vittoria avrebbe rinsaldato la rivoluzione diffondendone gli ideali in Europa. Solo Robespierre, dalla tribuna dei giacobini, si pronunciò contro la guerra, avanzando il timore di una dittatura militare.
Il 20 aprile 1792 fu infine dichiarata guerra all'Austria. L'Assemblea legislativa si pronunciò quasi all'unanimità. Ma giunsero anche le prime sconfitte. L'esercito francese era disorganizzato, molti ufficiali erano emigrati. Apparve subito necessario combattere gli elementi di debolezza interna e rafforzare le difese del paese. L'Assemblea decise di creare un campo di 20.000 volontari federati alle porte di Parigi per difendere la città. Ma il re, l'11 giugno, oppose il suo veto tanto a questo decreto che a quello che stabiliva la deportazione dei preti refrattari, e licenziò i ministri girondini in carica da tre mesi.
A questo punto l'iniziativa fu ripresa dal popolo parigino, dai
sanculotti - così chiamati perché non portavano i calzoni al ginocchio (culottes) degli aristocratici e dei ricchi borghesi, ma calzoni lunghi. Il 20 giugno '92 un grande corteo invase l'Assemblea e poi le Tuileries, sfilando minacciosamente a lungo davanti al re. Il sovrano brindò alla nazione, indossò il berretto frigio (il copricapo rivoluzionario), ma non cedette e mantenne il veto. La giornata rivoluzionaria non aveva ottenuto il suo scopo, ma per i girondini, ostili ad accettare la mobilitazione popolare, ogni mediazione politica apparve difficile.
A luglio, mentre l'Assemblea dichiarava "la patria in pericolo", cominciarono a giungere dalla provincia i federati. Per combattività prevalevano su tutti i marsigliesi, animati dalla marcia militare composta da Rouget de l'Isle per l'armata del Reno, che diverrà in seguito l'inno nazionale francese (la Marsigliese). Sanculotti e federati chiedevano apertamente la sospensione del re.
In una situazione tesissima giunse la notizia di un manifesto del duca di Brunswick, comandante delle truppe nemiche (degli austriaci e dei loro alleati prussiani), che minacciava, nel caso fosse stato recato oltraggio alla famiglia reale, una "vendetta esemplare abbandonando la città di Parigi a un'esecuzione militare e alla sovversione completa, e i rivoltosi ai supplizi che si meritavano". Il proclama accrebbe la determinazione delle forze popolari. Il 3 agosto '92, 47 sezioni parigine su 48 chiesero la deposizione del re. Alla mezzanotte del 9 agosto la campana a martello chiamò a raccolta il popolo in armi. La mattina del
10 agosto, sanculotti e patrioti federati giunsero davanti al palazzo delle Tuileries abbandonato dalla Guardia nazionale e difeso da mercenari svizzeri e da nobili. Un primo assalto fu respinto da una nutrita fucileria, ma dopo un rinnovato attacco il re fece ordinare il cessate il fuoco. Molti svizzeri furono massacrati dagli insorti, che avevano lasciato sul terreno 376 fra morti e feriti.
L'Assemblea legislativa, presso la quale si era rifugiato il re, decretò la sospensione del sovrano dalle proprie funzioni e decise nuove elezioni a suffragio universale. Era il trionfo della rivoluzione popolare e la rivincita dei cittadini "passivi".
Torna all'indice