13.12 Espansione europea e imperialismo ecologico
"Il commercio è la ricchezza del mondo; il commercio stabilisce le differenze tra ricchi e poveri, tra una nazione e l'altra; il commercio alimenta l'industria, l'industria genera il commercio; il commercio dispensa la naturale ricchezza del mondo, e il commercio fa sorgere nuove forme di ricchezza": così si esprimeva nel 1728 lo scrittore e saggista inglese Daniel De Foe, autore delle celebri avventure di Robinson Crusoe (1719). È difficile non condividere l'entusiasmo degli uomini del '700 per tutto ciò che era legato ai successi delle attività mercantili europee: un entusiasmo e un interesse testimoniato dalle numerose opere contemporanee sul commercio della Gran Bretagna. Ma proprio nel corso del '700 prese l'avvio una nuova fase del dominio commerciale europeo: accanto ai tradizionali generi di consumo voluttuario (spezie, zucchero, tè, caffè, ecc.) l'Europa importerà sempre più materie prime (come il cotone) destinate ad alimentare il nuovo slancio industriale.
Si è molto discusso in questi anni sul contributo delle economie periferiche allo sviluppo dell'Europa e in particolare alla nascita del capitalismo industriale. Più che l'entità dei profitti e l'accumulazione dei capitali, di cui è incerta la misura e l'apporto diretto, appare decisiva la conquista dei mercati mondiali realizzata dall'espansione europea nei secoli XVII e XVIII; mercati nei quali trovarono sbocco i due successivi sistemi di produzione europei, quello fondato sull'industria a domicilio (
15.5) e quello fondato sulla fabbrica (
17.6). Fu lo sviluppo economico basato su questi sistemi produttivi ad accentuare le differenze (fino allora poco sensibili a livello di reddito per abitante) fra l'Europa e i grandi imperi asiatici. In confronto a un'Asia stazionaria nei redditi, l'Europa diventerà sempre più ricca: una distanza che prefigurerà quella contemporanea fra paesi industrializzati e paesi arretrati o sottosviluppati.
Un aspetto meno noto e in genere trascurato del grande processo di espansione europea è quello relativo alla sua dimensione ecologica. In quale misura la conquista europea ha cambiato l'ecosistema e l'habitat dei Nuovi Mondi - America, Australia e Nuova Zelanda? Mentre tutti conoscono gli apporti dalle Americhe - come la patata e il mais e, fra le malattie, la sifilide -, meno noti sono i cambiamenti che nella flora, nella fauna e in genere sul piano biologico il Vecchio Mondo ha determinato nel Nuovo.
L'analisi di questa diversa espansione europea consente di parlare di un vero e proprio
imperialismo ecologico. Gli agenti di questo imperialismo furono in primo luogo i virus e i batteri delle malattie europee che si diffusero non solo dove il contatto con le popolazioni indigene era costante, come in Messico e nelle Antille, ma anche dove fu più occasionale e limitato, come presso gli indiani del Nord America, prima ancora degli insediamenti stabili europei. L'affezione più letale fu il vaiolo, ma si rivelarono micidiali gran parte delle malattie infettive, anche quelle non mortali per gli europei come il morbillo.
Paragonabili ai batteri per la loro straordinaria capacità di riprodursi furono le erbe infestanti di origine europea. Nelle zone a clima temperato i semi portati dal vento crearono sterminate distese di trifoglio, piantaggine, gramigna, ecc. Nonostante il nome la loro funzione è tutt'altro che negativa; esse, anzi, proteggono il suolo dall'inaridimento e rinnovano il manto erboso dove il pascolo è stato particolarmente distruttivo. Furono queste erbe che accompagnarono e alimentarono il moltiplicarsi senza limiti del bestiame europeo.
L'America, l'Australia e la Nuova Zelanda non conoscevano, infatti, i cavalli, i bovini, le pecore, le capre e i maiali: tutte queste specie si diffusero a velocità crescente, soprattutto allo stato brado. Il clima era favorevole e i pascoli abbondanti. Inoltre in questi Nuovi Mondi mancavano animali predatori di taglia sufficientemente grande da insidiare il bestiame europeo.
Fattori climatici e ambientali simili a quelli europei, uniti alla scarsità e debolezza delle popolazioni indigene (i pellirosse del Nord America, gli aborigeni dell'Australia, i maori della Nuova Zelanda), favorirono la dilagante emigrazione europea a partire dai primi decenni del XIX secolo nelle zone temperate a nord e sud dei tropici.
Il segno compiuto di questo imperialismo ecologico, che unì microbi, piante, animali e uomini europei, è rappresentato dal fatto che oggi tra i maggiori esportatori di derrate alimentari di origine europea si annoverano proprio quei paesi (come gli Stati Uniti, il Canada, l'Argentina, l'Uruguay, l'Australia e la Nuova Zelanda) che cinque secoli fa non conoscevano né gli animali tipici delle forme di allevamento europeo, né i cereali del Vecchio Mondo (frumento, orzo, segale). Nel 1982 quelle che potremmo chiamare (per clima, ceppi etnici, colture e allevamenti) le "Nuove Europe" contribuiranno con oltre il 70% alle esportazioni mondiali di frumento.
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