3. L'identità dell'Italia
3.1 La fine dell'equilibrio
La politica dell'equilibrio mirava alla conservazione del quadro politico italiano non solo nelle relazioni esterne, ma anche all'interno dei singoli Stati. Infatti, il primo articolo del trattato che sancì la Lega italica prevedeva l'impegno dei contraenti anche nel caso che "dai loro sudditi venisse offesa". Emergeva chiaramente, in questa preoccupazione, che un senso di radicata debolezza e incertezza caratterizzava ormai la vita politica: i principi e le oligarchie cercavano di premunirsi rispetto a qualsiasi evento rischiasse di alterare la situazione di fatto e di incrinare il loro potere. All'interno degli Stati la dialettica politica languiva, mentre il confronto delle posizioni e la lotta per il potere tendevano ad assumere fatalmente il carattere della congiura. Gli ultimi decenni del '400 furono appunto, nella penisola, un'età di congiure.
La Lega non funzionò come garanzia dei singoli governi al potere e, anzi, le congiure si fondarono quasi sempre su complicità e su appoggi esterni: a dispetto di tutte le apparenze, la rivalità restava la regola principale nei rapporti tra gli Stati e tra i blocchi di alleanze che di volta in volta si configuravano nella penisola.
A Firenze il malessere interno alla classe dirigente sfociò in un episodio drammatico. Signore della città era, dal 1469,
Lorenzo dei Medici, detto
il Magnifico, nipote di Cosimo e figura fra le più rappresentative del Rinascimento italiano, protettore delle arti e delle lettere e poeta egli stesso. Nel 1478 una congiura guidata dalla famiglia Pazzi, rivale dei Medici e appoggiata dal papa Sisto IV Della Rovere (1471-84), che voleva estendere il suo potere sulla città, culminò in un attentato nella chiesa di Santa Maria del Fiore: ne restò vittima Giuliano dei Medici fratello di Lorenzo dei Medici; quest'ultimo, leggermente ferito, riuscì miracolosamente a mettersi in salvo nella sagrestia della chiesa. Alla base della congiura dei Pazzi stava il progetto di sobillare il popolo contro il "tiranno" che lo dominava. Fu subito evidente, tuttavia, che questo appello alla libertà era solo un pretesto per far prevalere altri interessi di parte. Il popolo preferì mantenersi fedele ai Medici e si scatenò contro i congiurati: Jacopo dei Pazzi fu linciato dalla folla, mentre suo fratello Francesco e l'arcivescovo di Pisa cardinale Salvati, complice della congiura, furono impiccati a una finestra del palazzo della Signoria.
Da questo drammatico episodio ebbe origine una guerra tra Firenze e le sue alleate Venezia e Milano da un lato, il pontefice, la Repubblica di Siena e il Regno di Napoli dall'altro. Ma, come al solito, queste alleanze erano tutt'altro che solide. Lorenzo il Magnifico - cui non mancavano l'audacia e l'abilità politica - meravigliò i contemporanei con una mossa a sorpresa: si recò personalmente a Napoli e convinse il re Ferdinando d'Aragona, detto Ferrante (1458-94), che l'eccessivo rafforzamento di un papa come Sisto IV - nepotista, ambizioso, assetato di potere - sarebbe stato fatale per tutti. Ferrante abbandonò il pontefice e si alleò con Firenze, obbligando Sisto IV a concludere la pace, che fu stipulata nel 1480.
Fu una pace di breve durata. Causa scatenante del nuovo conflitto furono le ambizioni territoriali di Venezia, che mirava a impadronirsi del Ducato di Ferrara, feudo del papa. Sisto IV, che cercava un'occasione di rivincita procurandosi un potente alleato, accettò volentieri di cedere il Ducato alla Repubblica veneta. A questa manovra si oppose fermamente una lega composta da Firenze, Napoli, Milano, Bologna e Mantova. La guerra di Ferrara (1482-84) si concluse con la pace di Bagnolo, un compromesso in base al quale Ferrara restava indipendente ma cedeva a Venezia il Polesine.
Un'altra crisi interna, la cosiddetta congiura dei baroni, del 1485, scosse questa volta il Regno di Napoli, provocando, tra l'altro, l'insurrezione della città dell'Aquila. I ribelli potevano contare sull'appoggio del nuovo pontefice Innocenzo VIII (1484-92), che mandò un esercito in loro aiuto. L'intervento di Lorenzo il Magnifico provocò tuttavia il richiamo delle truppe pontificie e Ferrante fu quindi libero di impegnare tutte le sue forze contro i ribelli, che furono annientati.
Lorenzo il Magnifico morì nel 1492 e con la sua scomparsa venne meno il principale protagonista della storia italiana nella seconda metà del '400: Lorenzo aveva saputo interpretare la situazione politica italiana e si era mosso con estrema abilità nell'"equilibrio" della penisola per consolidare il ruolo di primo piano di Firenze e il proprio potere personale su di essa.
Il susseguirsi di congiure interne, di guerre o di conflitti più limitati, l'inasprimento delle tensioni tra i vari Stati, avevano mostrato quanto precario fosse l'equilibrio italiano: sul finire del secolo la situazione era ormai ampiamente deteriorata e l'intero quadro politico della penisola sull'orlo del collasso. La situazione precipitò in conseguenza di una crisi interna del Ducato di Milano. Nel 1476 una congiura nobiliare si era conclusa con l'uccisione del duca Galeazzo Maria Sforza (1466-76). Gli era succeduto il figlio Gian Galeazzo II (1476-94), ma il vero detentore del potere era suo zio
Ludovico il Moro. In attesa di assumere il Ducato anche formalmente, Ludovico teneva il nipote, incapace e malato, in una condizione di isolamento e di emarginazione dagli affari di governo. Ma c'era una complicazione: Gian Galeazzo aveva sposato una nipote del re di Napoli Ferrante, e ne aveva avuto un figlio. Ferrante protestò per il trattamento cui era sottoposto il giovane duca e non nascose le sue mire - peraltro non infondate dal punto di vista dinastico - sul Ducato. Per contrastare le minacciose aspirazioni degli Aragonesi, Ludovico il Moro chiamò in soccorso il re di Francia
Carlo VIII (1483-98), invitandolo a far valere le pretese angioine sul Regno di Napoli (gli Angioini ne erano stati cacciati nel 1442). Lo stesso invito fu rivolto al re da alcuni baroni napoletani che avevano partecipato alla congiura del 1485 e che avevano trovato benevolo rifugio in Francia.
L'appello rivolto al re di Francia fu una mossa sbagliata e carica di conseguenze per la penisola. Carlo VIII, infatti, non era il signore di uno Stato di medie o piccole dimensioni come quelli italiani, un signore che si poteva usare come alleato e magari successivamente liquidare con qualche modesta concessione territoriale o cambiando bruscamente schieramento. Era il sovrano di un potentissimo Stato europeo, e la sua discesa inaugurò le cosiddette
guerre d'Italia, un lunghissimo periodo di conflitti tra le grandi potenze europee per il controllo della penisola, che divenne il paese più tormentato d'Europa.
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