5.6 Il fantasma dell'Impero
Con Carlo V riprese vigore l'antica idea di Impero, che nell'Europa degli Stati nazionali sembrava ormai definitivamente eclissata. L'imperatore e i suoi consiglieri s'impegnarono nel diffonderla, la propagandarono, cercarono di renderla un ideale vivo e creativo. Molti finirono per crederci e sognarono un imperatore signore del mondo, padrone e guida di una Cristianità unita e rinnovata. Lo disse apertamente il cancelliere di Carlo V, Mercurino Arborio da Gattinara, all'indomani dell'elezione del suo sovrano al trono imperiale: "Sire, poiché Dio vi ha concesso la prodigiosa grazia di elevarvi sopra tutti i re e i principi della cristianità, ad una potenza che fino ad oggi ebbe soltanto il vostro predecessore Carlomagno, voi siete nel cammino della monarchia universale, della riunione della Cristianità sotto un solo pastore". Mercurino da Gattinara, che instillò nel monarca di Spagna l'idea imperiale, riprendeva, riveduto e aggiornato, il vecchio sogno espresso da Dante Alighieri nel De Monarchia e in altre opere: il benessere dell'umanità poteva essere assicurato soltanto sotto un unico monarca, che garantisse la pace e la tranquillità universale. Sotto la viva impressione della consacrazione imperiale avvenuta nel 1530 dalle mani stesse del pontefice, Ludovico Ariosto, nel canto XV dell'Orlando Furioso, mise in versi l'immagine di Carlo V, erede degli imperatori romani e restitutore, sulla Terra, di Astrea, la dea della giustizia, che ne era fuggita a causa delle violenze degli uomini:
Del sangue d'Austria e d'Aragon io veggio / nascer sul Reno alla sinistra riva / un principe, al valor del qual pareggio / nessun valor, di cui si parli o scriva. / Astrea veggio per lui riposta in seggio, anzi di morta ritornata viva, / e le virtù che cacciò il mondo, quando / lei cacciò ancora, uscir per lui di bando. / Per questi merti la Bontà suprema / non solamente di quel grande impero / ha disegnato ch'abbia diadema / ch'ebbe Augusto, Traian, Marco e Severo; / ma d'ogni terra e quinci e quindi estrema, / che mai né al sol né all'anno apre il sentiero: e vuol che sotto a questo imperatore / solo un ovile sia, solo un pastore.
Lo stesso Ariosto, nel suo Orlando Furioso, affermò che anche la scoperta dei nuovi mondi, che proprio sotto l'impero di Carlo V cominciavano a entrare sotto il dominio di un sovrano cristiano, rispondeva a un progetto provvidenziale. Secondo un'antica profezia, Dio aveva voluto mantenere ignote le terre poste al di là delle Colonne d'Ercole fino all'avvento di un sovrano, il più giusto e saggio dopo Augusto, che avrebbe governato su tutto il mondo: quel sovrano, naturalmente, era Carlo V. Ad accreditare il fatto di essere veramente l'uomo della Provvidenza, Carlo costruì il suo stemma con un esplicito riferimento a questa prospettiva provvidenziale: l'aquila asburgica al centro, le Colonne d'Ercole ai lati, con sopra il motto "plus ultra", oltre le Colonne d'Ercole...
"Il carattere stesso di Carlo - ha scritto Frances Yates - contribuì al sogno, o all'illusione, che stesse rinascendo l'Impero romano, nel suo aspetto sacro. Il secondo Carlomagno assomigliava forse in qualcosa al suo omonimo, lento e semplice com'era, ma nobilitato dal sincero rispetto che provava per il suo ufficio. Profondamente pervaso dal temperamento religioso tipico degli Asburgo, Carlo seppe conservare nella sua altissima posizione la modestia e un grande senso di responsabilità nei confronti della potenza divina, da cui era convinto di averla ricevuta".
La diffusione del mito imperiale tra i contemporanei di Carlo V si spiega con l'esigenza di ordine, con un desiderio di equilibrio e di armonia che si faceva tanto più acceso quanto più la realtà del tempo appariva incerta e priva di stabili punti di riferimento: la crisi della Chiesa, lacerata da scissioni e ribellioni, il tramonto del mondo feudale, l'appannamento dei vecchi valori, tutto concorreva a rafforzare la speranza in un potere forte e unificante, che avrebbe retto il mondo. Il fantasma dell'Impero riviveva perché dava una risposta ai bisogni psicologici degli uomini.
Radicato nella coscienza dei contemporanei come mito e come "fantasma", dal punto di vista strettamente politico l'Impero era, tuttavia, un anacronismo. Per quanto imponente, la compagine che Carlo V si trovò a governare era un agglomerato informe di popoli diversi per tradizione, per cultura, per lingua, e soprattutto dispersi geograficamente, senza continuità territoriale. L'unico vincolo tra le varie regioni era offerto dalla persona stessa dell'imperatore. Mentre la realtà politica europea aveva da tempo chiaramente indicato che il futuro apparteneva alle monarchie nazionali, accentrate e compatte, l'Impero appariva, nella sua disarticolata grandezza, come un paradossale retaggio del passato, un fossile più che un organismo capace di nuova vita.
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