7.10 L'Europa orientale
Nelle immense regioni dell'Europa orientale primeggiava la potenza polacca. Il Regno di Polonia era in realtà un Regno polacco-lituano, costituito appunto dalla
Polonia e dal
Granducato di Lituania; le due compagini avevano in comune il re e una Dieta composta dai rappresentanti della nobiltà, e praticavano una politica estera unitaria; godevano però di una reciproca autonomia amministrativa, finanziaria, militare e giuridica.
Nel '600 il Regno di Polonia (chiamiamo così, per comodità, lo Stato polacco-lituano) si estendeva su un vastissimo territorio, che andava dal Baltico, a nord, al Mar Nero, a sud, al fiume Dnepr, a est. La popolazione era molto composita: accanto alla grande maggioranza polacca vivevano lituani, ucraini, bielorussi, tedeschi, ebrei, ma vi si trovavano anche molti profughi protestanti che avevano abbandonato i loro paesi per sfuggire alle persecuzioni religiose, e che erano stati generosamente accolti. La Polonia, infatti, era nota come l'asilo degli eretici, e questa sua grande tolleranza l'aveva resa - cosa abbastanza rara per quei tempi - immune dalle guerre di religione.
Ciò non impedì, soprattutto nella prima metà del '600, un netto rafforzamento di quell'identità cattolica che segna ancora oggi in profondità la vita del popolo polacco. Questa identità cattolica affondava le sue radici nel tema della Polonia "baluardo della cristianità": il paese si trovò infatti, per la sua stessa collocazione geografica, a dover fronteggiare contemporaneamente la minaccia della Svezia luterana, della Turchia musulmana, della Russia cristiana ortodossa. La circostanza, che portò all'identificazione tra difesa nazionale e cattolicesimo, portò anche, inevitabilmente, alla prevalenza della religione cattolica, che conquistò la quasi totalità dei nobili e la grandissima maggioranza della popolazione. Anche qui i gesuiti si distinsero nell'opera di recupero dell'area alla Chiesa di Roma.
In Polonia, la nobiltà aveva una posizione di straordinario privilegio, che si estese progressivamente lungo tutto il '500 e culminò nel 1573, con la morte dell'ultimo sovrano Jagellone,
Sigismondo Augusto (1548-72): con l'estinzione della dinastia degli Jagelloni, che aveva governato il paese dal 1386, s'impose infatti il principio che il monarca dovesse essere eletto da tutta la nobiltà. Ogni nuovo sovrano veniva obbligato a sottoscrivere, prima dell'elezione, un patto con la nobiltà che lo obbligava a rispettare tutta una serie di princìpi: libertà di culto per tutti i nobili, obbligo di convocare la Dieta ogni due anni, riconoscimento del diritto dei nobili di non prestare obbedienza a quel re che non avesse rispettato i loro privilegi, ecc. Di elezione in elezione, questi impegni aumentavano e aumentava con essi lo strapotere dei nobili: non a torto, all'estero, la Polonia più che come un regno, veniva considerata una repubblica nobiliare. Il sistema politico polacco era dunque un'anomalia nel quadro europeo, e in quanto tale suscitava dibattiti e annoverava critici ed esaltatori; tra i primi, per esempio, era Jean Bodin, che giudicava negativamente i limiti imposti al potere regio; tra i secondi il filosofo italiano Tommaso Campanella, che esaltava il principio delle libere elezioni.
Il dualismo sbilanciato su cui si basava il sistema polacco non riuscì, in verità, a evitare un costante attrito tra la nobiltà e il re, che si sarebbe rivelato, alla lunga, un fattore di disordine e di debolezza. Ossessionati dal timore che i sovrani ledessero le loro libertà (la "libertà aurea"), i nobili vigilavano scrupolosamente sulle loro azioni e cercavano d'imbrigliarle tra mille pastoie. I re, dal canto loro, cercavano di reagire a queste limitazioni - che impedivano una politica centralizzata sul modello delle grandi monarchie europee e indebolivano la stessa forza militare polacca - cercando di aggirarle in mille modi. La debolezza del potere regio in questo periodo dipendeva anche dal fatto che tutti e quattro i sovrani che regnarono dal 1573 al 1648 si mostrarono più interessati ai paesi di origine delle loro dinastie che a radicarsi in Polonia. Enrico di Valois (1573-74) fuggì di nascosto per occupare il trono francese (1574-89) toccatogli in eredità; Stefano Báthory (1575-85), principe di Transilvania, ebbe come preoccupazione costante quella di riconquistare la sua patria caduta in mano ai turchi; Sigismondo III Vasa (1587-1632), figlio di Giovanni III re di Svezia e di Caterina Jagellone, sorella dell'ultimo monarca di quella dinastia, ottenne nel 1592 anche la corona di Svezia, ma gli svedesi, animati da un forte spirito d'indipendenza e tenacemente attaccati al protestantesimo, lo detronizzarono; per tutta la vita Sigismondo tentò invano di far valere i suoi diritti. La stessa preoccupazione ossessionò suo figlio Ladislao IV Vasa (1632-48).
I nobili andavano molto fieri della loro posizione di forza nel sistema politico polacco, una posizione che non aveva termini di paragone in nessun altro paese europeo, e si mostravano accanitamente ostili a qualsiasi tentativo di riforma: l'attaccamento alla tradizione era per loro un vero e proprio culto. Una comune cultura rendeva compatto il ceto nobiliare: nel '500 e ancor più nel '600 questa cultura comune si riconosceva in quello che fu successivamente chiamato il sarmatismo. Con questo termine si indica un preciso tema ideologico, che funzionò come sistema di autoidentificazione da parte della nobiltà. I nobili polacchi, in sostanza, ritenevano di essere i discendenti degli antichi e leggendari sarmati, che in epoca remotissima avrebbero occupato la Polonia e sottomesso le primitive popolazioni locali; da queste ultime sarebbero discesi ceti inferiori come i contadini e i borghesi. A questo mito era ricondotto il fondamento degli enormi privilegi della nobiltà polacca.
La stessa formazione di una coscienza nazionale polacca seguì, proprio in aderenza a questo mito, un percorso diverso da quello battuto in altri paesi europei. Soltanto la nobiltà, infatti, si considerava rappresentativa della nazione polacca e negava questa prerogativa al resto della popolazione.
Sul piano economico e sociale, la forza della nobiltà polacca ebbe conseguenze nefaste: fu abbastanza facile, ai nobili, che detenevano tutte le leve del potere, sottomettere i contadini e obbligarli a corvées e prestazioni che nell'Europa occidentale erano in gran parte tramontate da molto tempo. L'asservimento dei contadini polacchi aveva in effetti ben pochi termini di paragone, ed era favorito dalla richiesta di grano a basso prezzo proveniente dai paesi occidentali (
8.1).
La miseria delle campagne polacche ostacolò inoltre la domanda di prodotti artigianali e impedì la formazione di un consistente ceto borghese. Un ulteriore ostacolo fu volutamente frapposto dalla nobiltà che non regolò, ma al contrario favorì, la presenza di mercanti stranieri nelle piazze commerciali polacche, mortificando il decollo di una imprenditoria commerciale nazionale.
A oriente della Polonia si estendeva il
Regno di Russia: una compagine dalle dimensioni immense ma nella quale il processo di formazione dello Stato era ancora molto arretrato, soprattutto a causa dell'enorme potere concentrato nelle mani dei boiari, l'aristocrazia di sangue discendente dai comites dell'antico principe di Kiev.
Il fondatore della potenza russa fu
Ivan IV detto
il Terribile (1547-84), che governò con quel titolo di
zar (dal latino Caesar) che da allora in poi diventò abituale per i sovrani russi; per mezzo di tale titolo il re si atteggiava idealmente a erede degli imperatori bizantini, e Mosca appariva come la continuatrice della grande Costantinopoli.
Ivan intraprese una vasta opera di riforma, che riguardò la giurisprudenza, l'esercito, l'amministrazione locale, e che portò al rafforzamento dell'autorità centrale e a un ridimensionamento del potere dei boiari. Lo zar divise il territorio del Regno in due parti: i territori situati intorno a Mosca e nelle regioni centrali del Regno facevano parte della cosiddetta opricnina, posta alle dirette dipendenze del sovrano; i territori rimanenti, che costituivano la zemscina, rimasero invece sotto l'amministrazione della Duma, il Consiglio dei boiari. Questi ultimi furono privati dei loro possedimenti nella opricnina, in cambio dei quali ebbero terre nelle regioni periferiche, dove non avevano forza le tradizioni feudali. Contro i boiari, lo zar creò anche una autorevole nobiltà di servizio, a lui legata da vincoli di fedeltà, alla quale conferì terre e privilegi.
Ma l'azione dello zar si spinse ben oltre: tra il 1564 e il 1572 circa 4000 boiari furono giustiziati con l'accusa di tradimento. I sopravvissuti vissero nel terrore. In conseguenza di queste stragi, Ivan ricevette quel soprannome di "Terribile" con cui è passato alla storia.
Durante il regno di Ivan IV i confini dello Stato russo si estesero lungo tutto il corso del Volga (un'arteria commerciale di fondamentale importanza), nel Caucaso, in Asia centrale, in Siberia. Il territorio russo divenne talmente imponente da apparire come un vero e proprio impero. Meno fortunata fu l'espansione militare russa verso il Baltico: su questo versante i soldati di Ivan incontrarono una fortissima resistenza svedese e polacca; in particolare, il re di Polonia Stefano Báthory inflisse ai russi alcune durissime sconfitte, che scossero il prestigio dello zar.
Alla morte di Ivan IV seguì un convulso periodo di torbidi, che gettarono il paese nello scompiglio: congiure di palazzo, usurpatori, lotte tra i boiari e la nobiltà di servizio, sembrarono distruggere l'opera del defunto zar. I polacchi ne approfittarono per intensificare la loro iniziativa militare e il re di Polonia Sigismondo III Vasa riuscì addirittura a farsi nominare per qualche tempo zar. L'autorità dello Stato fu ricostruita da
Michele Romanov (1613-45), fondatore di una dinastia che avrebbe regnato in Russia fino alla rivoluzione bolscevica.
Le condizioni sociali dei contadini russi erano quelle tipiche di quasi tutte le campagne dell'Est europeo: miseria e asservimento ne erano infatti i tratti distintivi e le riforme di Ivan IV non fecero nulla per mutare questo stato di cose. Tanto la nuova nobiltà di servizio che la vecchia nobiltà dei boiari riuscirono infatti a imporre ai contadini prestazioni di lavoro sempre più pesanti. In Russia come in Polonia, le immense distese a est dell'Elba erano dunque il regno della servitù della gleba.
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