8.8 La guerra dei Trent'anni
La protesta contro l'ondata di tedeschizzazione e di cattolicizzazione, lanciata da Ferdinando di Stiria e appoggiata dall'imperatore, fu vastissima, e assunse forme violente: il 23 maggio del 1618 la folla tumultuante invase il palazzo reale di Praga e gettò dalla finestra due rappresentanti imperiali. Alla cosiddetta defenestrazione di Praga seguirono avvenimenti ancora più gravi: la nobiltà boema dichiarò decaduto dal trono di Boemia Ferdinando (che nel frattempo era succeduto a Mattia nella carica imperiale, come
Ferdinando II) e proclamò re il calvinista
Federico V, giovane elettore del Palatinato e capo dell'Unione evangelica; Federico era sostenuto - ma in verità più a parole che con i fatti - da una vasta rete di relazioni: dal re d'Inghilterra Giacomo I (di cui era genero), dal re di Danimarca Cristiano IV (di cui era parente), dalle Province Unite, da Venezia. A favore dell'imperatore si schierò naturalmente la Lega cattolica, guidata dal duca Massimiliano di Baviera e sostenuta concretamente dalla Spagna. La Francia si mantenne, per il momento, neutrale. La questione boema divenne così la posta di un gioco ben più importante - il predominio cattolico o protestante nell'Impero - rispetto al quale nessuna potenza europea poteva dirsi del tutto indifferente. Fu così che un contrasto locale divenne l'avvio di una nuova guerra, destinata a insanguinare l'Europa per trent'anni, dal 1618 al 1648.
In nome dell'antica solidarietà asburgica e della comune confessione cattolica, nel 1620 Ferdinando II fu soccorso da un poderoso esercito spagnolo: soldati iberici, uniti alle truppe bavaresi, sotto la guida di Massimiliano di Baviera e del generale fiammingo Tilly, sconfissero i rivoltosi boemi nella battaglia della
Montagna Bianca (nei pressi di Praga). Il fronte dei ribelli si disgregò rapidamente: Federico V, debole e inesperto, non si curò nemmeno di organizzare la difesa della capitale e si diede alla fuga, abbandonando i suoi sostenitori a un triste destino. Il "re di un inverno", così chiamato perché aveva regnato una sola stagione, fu messo al bando dall'Impero. La vittoria della Montagna Bianca - una delle meno sanguinose ma più decisive della storia moderna - fu esaltata in tutto il mondo cattolico come un avvenimento epocale e paragonata addirittura alla vittoria di Lepanto, ottenuta sui turchi cinquant'anni prima.
Dopo la battaglia della Montagna Bianca si scatenò, in Boemia, un'azione capillare di sradicamento delle "eresie": già pochi anni dopo tutti i pastori protestanti erano stati espulsi. I nobili maggiormente coinvolti nella rivolta furono giustiziati, gli altri furono colpiti da ammende e confische. Per non sottomettersi al cattolicesimo, molti boemi abbandonarono il loro paese: secondo una fonte dell'epoca già nel 1627 erano emigrate circa 36.000 famiglie (pari a 150.000 individui).
Le terre confiscate all'aristocrazia protestante furono assegnate agli stranieri - soprattutto tedeschi, spagnoli, italiani - che erano giunti in Boemia come ufficiali e generali al seguito degli Asburgo. I nuovi proprietari applicarono ai loro contadini condizioni e rapporti di lavoro estremamente duri, che segnavano un ritorno indietro nel tempo: ne nacquero miseria e rivolte.
Nel quadro delle operazioni militari di sostegno a Ferdinando II contro i ribelli boemi, gli spagnoli, dopo aver sobillato i cattolici della regione al massacro di protestanti ("Sacro macello", 1620), occuparono la Valtellina, nel cantone svizzero dei Grigioni. L'episodio segnava una svolta importante nella politica estera spagnola: con la morte del "pacifico" Filippo III e l'ascesa al trono di Filippo IV (
8.3) la Spagna inaugurò infatti una vasta controffensiva cattolica di dimensioni europee. Decisivo fu, in questo senso, il ruolo svolto dal primo ministro Olivares. Egli era infatti convinto che la Spagna dovesse uscire dal torpore degli ultimi anni e riprendere con decisione quel posto di prima potenza europea che le competeva. La questione prioritaria era, naturalmente, quella olandese, che si trascinava da decenni dissanguando le finanze spagnole e offuscando il prestigio della potenza iberica. Era chiaro a tutti, in Europa, che la tregua stipulata nel 1609 con le Province Unite non sarebbe stata rinnovata: proprio in questa prospettiva il controllo della Valtellina assumeva tutta la sua importanza. La regione aveva infatti una rilevanza strategica fondamentale perché rappresentava il corridoio di collegamento tra la Lombardia spagnola e l'Austria, cuore dei domini asburgici, e avrebbe consentito alla Spagna di stringere gli olandesi in una morsa, attaccandoli da est (Impero) e da sud (Fiandre cattoliche). Quando gli spagnoli occuparono la Valtellina, Francia, duca di Savoia e Repubblica veneta decisero d'intervenire militarmente per contrastarne l'azione. La guerra si concluse nel 1626 con il trattato di Monzón, che sancì il protettorato spagnolo sulla regione.
Il successo di Ferdinando II, combinato all'aggressività della politica estera spagnola, spinse all'azione, nel 1625, il sovrano di Danimarca
Cristiano IV (1588-1648), il quale temeva che il suo Regno venisse assorbito da un Impero troppo forte. La sua impresa fu ben finanziata da inglesi, francesi e olandesi, ma fallì rapidamente: più volte sconfitto dall'esercito della Lega cattolica comandato dal Tilly e dall'esercito imperiale guidato da Albrecht von Wallenstein (1583-1634), un nobile boemo che avrebbe fatto parlare molto di sé, Cristiano IV fu costretto a firmare nel 1629 la pace di Lubecca, che lo impegnava a tenere la Danimarca al di fuori delle vicende tedesche.
La guerra di Boemia (con la sua propaggine danese) poteva dirsi risolta con un limpido successo di Ferdinando II, che aveva dato nuovo prestigio alla corona imperiale e dimostrato nel più chiaro dei modi la solidità dei legami che essa aveva con la monarchia spagnola. La volontà dell'imperatore di non accontentarsi di questa vittoria, ma di approfittarne per restaurare ovunque l'autorità imperiale e imporre il cattolicesimo, unita al desiderio della Spagna di sfruttare l'occasione per rafforzare la propria presenza strategica nel continente, allarmarono le altre potenze europee, creando le premesse per la ripresa della guerra su dimensioni sempre più ampie.
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