8.9 Il progetto dell'imperatore
Nel 1629 l'imperatore Ferdinando II compì un passo molto grave. Con il cosiddetto Editto di restituzione stabilì infatti che tutti i beni confiscati alla Chiesa cattolica dopo l'anno 1552 dovessero essere restituiti. La decisione ledeva gli interessi di molti principi tedeschi che si vedevano improvvisamente privati di parti a volte molto consistenti dei loro patrimoni. Molti beni un tempo confiscati alla Chiesa erano stati inoltre ceduti a nuovi proprietari, che si trovavano ora a subire un danno imprevisto e ingiusto. Il provvedimento finì per scontentare tutti: non solo, com'era prevedibile, i principi protestanti, ma anche quelli cattolici e lo stesso governo pontificio, che ben ne coglievano l'inutilità e l'inopportunità.
L'imperatore non nascondeva, inoltre, la sua intenzione di introdurre una trasformazione rivoluzionaria nell'ordinamento dell'Impero, rendendo ereditaria - a favore della dinastia asburgica - la corona imperiale, che ormai da tempo immemorabile era attribuita elettivamente: si può immaginare quanta preoccupazione questo progetto suscitasse nei principi tedeschi. L'imperatore, peraltro, non perdeva nessuna occasione per estendere e rafforzare i possedimenti diretti degli Asburgo, che rappresentavano la sua fonte principale di reddito: egli aveva davanti agli occhi il modello francese e coltivava l'esempio di quei sovrani che avevano creato la grande monarchia di Francia. Un'apprensione non minore aveva diffuso tra i principi tedeschi la decisione (1623) dell'imperatore di compensare i preziosi servizi resigli da Massimiliano, duca di Baviera, conferendogli la dignità di principe elettore (sottratta allo sconfitto Federico V di Palatinato). Questa attribuzione era chiaramente illegale, perché contraddiceva la Bolla d'Oro del 1356, considerata da tutti in Germania come la legge fondamentale e immutabile dell'Impero: la Bolla stabiliva infatti che l'elettorato dovesse restare in perpetuo alla casa palatina. Quel gesto diffuse pertanto il giustificato timore che l'imperatore volesse imporre un regime di tipo assoluto, che sovvertiva le antiche tradizioni germaniche.
Non mancava infine a Ferdinando II, a incutere altro timore, un esercito agguerrito: si trattava soprattutto delle truppe di Wallenstein, uno dei vincitori della guerra danese. Wallenstein aveva creato le basi di un enorme patrimonio acquistando a prezzi bassissimi le terre confiscate ai ribelli boemi. Speculazioni, prestiti, investimenti, lo avevano poi reso uno degli uomini più ricchi del tempo. Ambizioso, cinico, crudele, egli puntava molto in alto: in cambio dei suoi preziosi servizi l'imperatore lo nominò principe dell'Impero e gli attribuì le cariche più prestigiose; ma non erano soltanto dei maligni quelli che affermavano che egli aspirava a diventare un vero e proprio sovrano, magari soppiantando lo stesso Ferdinando.
Wallenstein fece della guerra un'inesauribile fonte di denaro. Ai suoi ordini era un esercito gigantesco, che nei momenti di maggiore impegno superò i 100.000 uomini, ben armati e organizzati. Le prestazioni di questa poderosa macchina militare venivano vendute a caro prezzo all'imperatore; in mancanza di liquidità, quest'ultimo trovava nello stesso Wallenstein una preziosa fonte di finanziamento, alla quale, naturalmente, bisognava poi pagare i dovuti interessi. Con Wallenstein la guerra divenne una vera e propria impresa economica in grande stile: tutto quanto ruotava intorno all'esercito e alle sue necessità - dai rifornimenti alla produzione di armi - era occasione di lucro. I soldati di Wallenstein venivano solitamente mantenuti a spese del territorio che attraversavano, mediante contribuzioni imposte, alle quali si aggiungevano rapine, saccheggi, requisizioni: questo metodo, messo sistematicamente in atto per anni e anni, fece di loro un vero e proprio flagello per le popolazioni tedesche.
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