8.10 L'intervento della Svezia
La politica di potenza di Ferdinando II allarmò anche il re di Svezia
Gustavo Adolfo (1611-32), che decise di far ricorso alle armi. Il sovrano aveva almeno due buoni motivi per prendere questa decisione. La Svezia era uno Stato protestante che doveva essere difeso, prima che fosse troppo tardi, dalle insidie dell'imperatore asburgico e dalle sue mire di restaurazione cattolica. La Svezia era anche una grande potenza nordica, per la cui sopravvivenza il controllo del Mar Baltico - una delle zone chiave dell'economia europea - era vitale. Attraverso il Baltico l'Europa occidentale si approvvigionava infatti di grano e materie prime come il rame, il ferro, il legname, il catrame, la canapa, ed esportava nel Nord Europa i suoi manufatti. L'imperatore asburgico non nascondeva le sue intenzioni di estendere la sua diretta influenza anche sulle rive di quel mare e di costruire una potente flotta da guerra baltica. La decisione del re di Svezia fu quindi motivata anche da esigenze strategiche.
Gustavo Adolfo si assicurò la disponibilità della Francia, che si impegnò a finanziare la sua campagna militare (trattato di Bärwald del 1631), e degli elettori protestanti di Sassonia e di Brandeburgo, indignati per le efferatezze - un vero e proprio sterminio - compiute dai cattolici nella città di Magdeburgo. Quindi portò i suoi soldati in Germania e nel 1631 sconfisse a Breitenfeld (nei pressi di Lipsia) le truppe della Lega cattolica comandate dal Tilly. L'avanzata svedese in territorio tedesco fu inarrestabile e di successo in successo si spinse fino alla Baviera e all'Alsazia.
La travolgente apparizione dei soldati svedesi nel teatro di guerra germanico ebbe l'effetto di uno shock: non si era mai vista una macchina militare tanto moderna e micidiale. Gustavo Adolfo, che può essere considerato uno dei più grandi, se non il più grande, condottiero del secolo, aveva infatti introdotto alcune innovazioni belliche destinate a fare scuola in tutta Europa. Anzitutto l'artiglieria: grazie ai progressi nelle tecniche di fusione, che consentivano leghe più leggere e resistenti, egli sostituì i vecchi cannoni, pesantissimi e praticamente inamovibili nel corso del combattimento, con cannoni molto più maneggevoli, che non era difficile spostare e orientare a seconda delle mutevoli necessità dello scontro. Dotati di un doppio munizionamento, a palla e a mitraglia (per colpire meglio i fanti nemici) questi cannoni sparavano con un ritmo non lontano da quello dei fucilieri (il ritmo dei vecchi cannoni era invece di appena due o tre colpi l'ora). La seconda innovazione riguardava la cavalleria, che venne addestrata per effettuare cariche in massa a sciabola puntata e a ranghi serrati, con un micidiale effetto d'urto. La terza innovazione riguardava l'importanza attribuita ai fucilieri, dotati di un moschetto leggero e addestrati al tiro di precisione e a ricaricare le armi rapidamente. L'ultima e decisiva innovazione riguardò la cooperazione di queste tre armi sul campo di battaglia: fanteria, artiglieria, cavalleria, erano addestrate a collaborare in modo di fornire una risposta articolata e dinamica, secondo le istruzioni fornite da ufficiali altamente qualificati. L'esercito non era più una massa d'urto brutale, ma uno strumento duttile e intelligente, manovrabile in armonia con le necessità e l'evoluzione della battaglia.
Prima del clamoroso successo di Breitenfeld (e degli altri che seguirono), l'esercito di Gustavo Adolfo era stato collaudato e sperimentato, con risultati molto incoraggianti, nelle ricorrenti guerre che la Svezia conduceva contro la Polonia e la Russia. Ma il non comune addestramento da esso raggiunto aveva una spiegazione più profonda: l'esercito svedese era costituito da truppe regolari a lunga ferma. Mentre gli altri eserciti europei erano composti da mercenari, raccolti spesso in modo casuale tra gli sbandati e gli emarginati (anche se non mancavano in essi reparti particolarmente efficienti e addestrati), quello svedese era composto da elementi regolarmente pagati e mantenuti dallo Stato, che restavano sotto le armi per venti anni.
Nella battaglia di Lützen del 1632 gli svedesi riportarono un'altra vittoria sull'esercito tedesco guidato dal Wallenstein. Quella di Lützen poteva essere la vittoria decisiva, ma il caso non volle che così fosse: nella battaglia perse infatti la vita, durante una carica di cavalleria cui prese personalmente parte, il re di Svezia (re guerriero, come tanti altri sovrani svedesi) e la sciagura disorientò il suo esercito e i suoi alleati. Sul trono svedese saliva una bambina, la regina Cristina (1632-54).
In questa occasione Ferdinando II fu salvato dalla fortuna: la morte del suo rivale gli regalò tempo prezioso per riprendere fiato e riorganizzare la lotta contro gli svedesi. L'imperatore fece uccidere a tradimento il potente e temuto Wallenstein, che secondo l'opinione dei più mirava a soppiantarlo, e affidò le sue sorti agli eserciti spagnoli. Ancora una volta la solidarietà asburgica tra Spagna e Impero fu la carta vincente: nel 1634 le truppe svedesi furono duramente sconfitte da quelle spagnole a Nördlingen (in Franconia). L'imperatore era salvo. L'anno dopo la pace di Praga sancì la fine delle ostilità all'interno dell'Impero: gli elettori protestanti si riconciliarono con l'imperatore ottenendo in cambio che l'applicazione dell'Editto di restituzione fosse rinviata di quarant'anni. Restava però aperta la guerra con la Svezia.
Torna all'indice