9.5 La Francia nell'età della Fronda
Nel 1642 il cardinale Richelieu morì. L'anno seguente scomparve il re Luigi XIII. La politica estera della Francia, impegnata nella guerra dei Trent'anni non subì, però, mutamenti di rilievo, grazie all'azione del cardinale
Mazzarino (
8.11), consigliere personale di Richelieu e suo successore a capo del Consiglio del re. L'importanza di questa carica fu accentuata dal fatto che al trono francese era salito un bambino di appena cinque anni,
Luigi XIV (1643-1715), in vece del quale la reggenza fu tenuta dalla madre Anna d'Austria, legata al Mazzarino da forti vincoli di fiducia e di collaborazione.
Con la pace di Vestfalia (
8.12), Mazzarino sancì il successo della potenza francese sulle ambizioni egemoniche della Casa imperiale d'Austria. Il conflitto continuò tuttavia con la Spagna, tanto sul confine franco-spagnolo che in Italia e nelle Fiandre. Di conseguenza l'impegno finanziario dello Stato francese a sostegno della guerra non diminuì e l'emergenza bellica, unita al forte prestigio personale di Mazzarino, consentì il proseguimento di una gestione "forte" del governo centrale. Di qui l'esplosione di un periodo di agitazioni e di torbidi noto come Fronda (cioè la "fionda" con cui i ragazzi scagliavano le pietre), che si distinse in due fasi: quella
parlamentare (1648-49) e quella
dei principi (1650-53).
Il centro propulsore della prima fase della Fronda fu il Parlamento di Parigi. I parlamenti francesi, dislocati oltre che nella capitale in alcuni fra i principali centri urbani (Tolosa, Grenoble, Bordeaux, Digione, Rouen, ecc.), rappresentavano le corti giudiziarie supreme, nonché gli organi di verifica della conformità degli editti regi alle leggi fondamentali del Regno. I loro membri erano magistrati, che avevano comprato o ereditato il loro titolo. I parlamenti erano dunque una delle roccaforti della nobiltà di toga. Nel 1648 Mazzarino sottopose al Parlamento di Parigi la proposta di potenziare il gettito fiscale affidandone l'esazione esclusivamente agli intendenti (
8.4). Si trattava di una proposta razionale dal punto di vista del governo centrale, ma politicamente impopolare. Contemporaneamente il cardinale ipotizzava la creazione e la vendita di numerosi altri uffici, che avrebbero ridotto le rendite di quelli esistenti e appesantito la paulette (
8.4). Il Parlamento parigino replicò proponendo la soppressione degli intendenti e reclamando a sé il diritto di gestire l'imposizione delle tasse e l'amministrazione del Tesoro. L'arresto di uno dei principali esponenti dell'assemblea parigina, Broussel, fece degenerare il contrasto in aperta rivolta: i parlamentari riuscirono a mobilitare il popolo di Parigi (a sua volta oppresso dal fiscalismo regio ma incapace di iniziativa autonoma) e a occupare di fatto la città per alcuni giorni. I parlamenti provinciali aderirono uno dopo l'altro al programma politico del Parlamento della capitale.
Ai primi del 1649 Mazzarino e la corte dovettero lasciare Parigi, malgrado le richieste parlamentari fossero state accettate. Nel corso dello stesso anno la Fronda parlamentare andò tuttavia progressivamente disgregandosi. Questo decorso era inevitabile, perché essa non aveva elaborato un programma di ampio respiro, volto a scardinare l'assolutismo regio, ma si era limitata esclusivamente a tutelare i privilegi della nobiltà di toga e della ricca borghesia, privilegi che emanavano direttamente dal potere assoluto del sovrano. Agli occhi dei rivoltosi il nemico da abbattere era Mazzarino, non il re: una volta accettate le rivendicazioni parlamentari (poi abilmente vanificate da Mazzarino) e constatata l'impossibilità di spezzare l'accordo tra il primo ministro e la corona, non restava altro che rientrare nei ranghi.
Nel 1650 prese l'avvio la Fronda dei principi (cioè dell'aristocrazia), capeggiata dal principe di Condé, vincitore di Rocroi e comandante delle truppe regie mobilitate contro la Fronda parlamentare. La nobiltà di sangue dava così sfogo ai risentimenti accumulati negli ultimi anni. La sua azione tuttavia non si concretizzò mai in un vero progetto politico. Era senza dubbio forte, nel principe di Condé, la gelosia nei confronti dello strapotere di Mazzarino, che aveva impedito all'aristocrazia di trarre vantaggio dalla situazione creatasi a corte con la morte di Luigi XIII (minorità di Luigi XIV, reggenza di Anna d'Austria). Ma altrettanto forte era in lui il desiderio di reagire al successo conseguito dal movimento parlamentare nei confronti della corona: non a caso i parlamenti sostennero Mazzarino contro la Fronda dei principi. La nobiltà (specialmente quella dei livelli inferiori) risentiva inoltre pesantemente della pressione fiscale voluta da Mazzarino, dal momento che l'impoverimento dei contadini ostacolava la riscossione dei diritti feudali.
Ancora una volta il paese fu attraversato da un'ondata di disordini e ancora una volta lo scontento del popolo di Parigi fu strumentalizzato e indirizzato contro il governo centrale. Mazzarino fu nuovamente costretto a fuggire dalla città e a rifugiarsi a Colonia, in Germania. Di qui diresse le operazioni delle truppe fedeli alla monarchia. Nel 1652 il principe di Condé fu sconfitto nei pressi della capitale e il fronte aristocratico si disciolse rapidamente. Il cardinale, accompagnato dalla reggente e da Luigi XIV, rientrò trionfalmente a Parigi nel mese di ottobre.
La fine delle turbolenze frondiste consentì a Mazzarino di riprendere con energia la guerra contro la Spagna. Tra le scelte diplomatiche del cardinale la più felice fu la coraggiosa alleanza con la Repubblica inglese di Cromwell. Mentre la flotta inglese paralizzava le rotte spagnole, l'esercito anglo-francese sconfisse definitivamente le truppe iberiche presso Dunkerque (1658).
Con la pace dei Pirenei del 1659 la Francia ottenne l'Artois e, lungo il confine con la Spagna, il Rossiglione; l'Inghilterra ottenne la Giamaica e la base di Dunkerque. Questa pace decretò il tramonto della potenza spagnola e il rafforzamento della Francia nel ruolo di massima potenza continentale. A essa fece seguito il matrimonio tra l'erede al trono di Spagna, Maria Teresa (figlia di Filippo IV) e Luigi XIV. Gli accordi prevedevano che Maria Teresa rinunciasse ai suoi diritti di successione ma recasse in dote la favolosa cifra di 500.000 scudi d'oro: quest'ultimo impegno non fu onorato, e di questo si farà forte Luigi XIV per giustificare il suo aggressivo programma di politica estera.
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