10.3 L'agricoltura
Il declino delle attività commerciali e industriali spostò quote importanti di capitali da questi settori all'agricoltura. La proprietà terriera assunse di conseguenza un peso molto più consistente, sottraendo investimenti al commercio e all'industria. Il fenomeno risulta diffuso in tutta la penisola, ma il caso di Venezia è forse quello più eloquente: l'acquisto di proprietà nell'entroterra da parte di nobili e di mercanti prese un ritmo intenso tra la fine del '500 e gli inizi del '600, e si è calcolato che, intorno al 1660, ben il 40% della proprietà fondiaria nei territori di Padova, di Treviso e nel Polesine era nelle mani di cittadini veneziani. È questa l'epoca delle grandi ville venete di campagna, più di 300 delle quali risalgono infatti al '600.
A livello sociale, il prestigio rinnovato e potenziato della proprietà terriera si tradusse in un maggiore immobilismo. Era molto meno facile, adesso, per individui intraprendenti di origine modesta, tentare una rapida e brillante ascesa sociale nel mondo dinamico degli affari: con il declino dell'economia urbana riprendevano vigore gli antichi valori (peraltro mai spenti) di ranghi e di gerarchie sociali immobili e trasmesse ereditariamente.
In parallelo si moltiplicarono i titoli nobiliari, segno evidente di un processo di
rifeudalizzazione: concedendo quei titoli in cambio di somme di denaro, i governi conferivano infatti qualifiche feudali alle terre cedute. Ma sul senso da attribuire al termine "rifeudalizzazione" occorre intendersi. Il fenomeno esprimeva senza dubbio un maggior peso dei grandi signori nel controllo dei territori. Ma certamente non si trattò - sarebbe stato impossibile, dato il livello raggiunto dalla società italiana - di un ritorno puro e semplice al feudalesimo. Da un punto di vista strettamente economico questa rifeudalizzazione, soprattutto nelle regioni settentrionali, fu un fenomeno tutto sommato superficiale: normalmente, quando un signore otteneva un feudo da un potere superiore - per esempio il re di Spagna - otteneva con esso le rendite derivanti da certi diritti che in precedenza erano esercitati dal sovrano; per i sudditi cambiava ben poco, perché ora essi pagavano quegli stessi diritti non più ai rappresentanti del re, ma al feudatario. Per il resto - ad esempio sotto il profilo giudiziario - i sudditi erano ben altrimenti tutelati rispetto alle tipiche istituzioni feudali: in Lombardia la giustizia comune era esercitata da un giudice di professione, le cui funzioni dovevano essere confermate dalla comunità ogni due anni; in Piemonte la nomina del giudice feudale e le sue attività erano sottoposte a severi controlli. Molto più grave fu tuttavia, come si vedrà tra poco, la situazione dei sudditi delle regioni meridionali della penisola.
Il declino delle attività commerciali provocò anche una minore circolazione dei prodotti agricoli all'interno dell'Italia: la produzione veniva ormai assorbita in massima parte dall'autoconsumo su base regionale. Si verificò pertanto una
frammentazione dei mercati che ebbe riflessi anche nelle relazioni tra Nord e Sud: nella seconda metà del '500, per esempio, la Sicilia esportava annualmente circa 500.000 quintali di grano verso l'Italia settentrionale; alla fine del '600 questa quantità si era ridotta di oltre cinque volte. Il crollo delle esportazioni agricole fu un fattore importante nell'impoverimento delle regioni meridionali.
In Italia, come nel resto dell'Europa occidentale, la caduta dei prezzi dei cereali provocò una
trasformazione delle colture. In molte zone, come per esempio la campagna romana e la Puglia, la cerealicoltura fu sostituita dalla pastorizia; in altre fu la vigna a prendere il sopravvento: è questo il caso dell'Astigiano, delle Langhe, della Toscana. In quest'epoca si diffondono ulteriormente, in Italia settentrionale, le coltivazioni del lino e della canapa, mentre in tutta la penisola s'impiantano coltivazioni di gelso. L'espansione delle risaie è prorompente: nella Lomellina e nel territorio di Vigevano, tra il 1540 e la fine del '600, la loro estensione aumenta di circa cinquanta volte. Si diffonde in Sicilia anche il mais che ritroviamo ora anche in Piemonte, in Toscana, in Romagna e in tante altre regioni.
Il quadro dell'agricoltura italiana nel '600 presenta dunque caratteristiche molto meno gravi di quelle emerse nel settore industriale e commerciale. Di fronte al vistoso declino della cerealicoltura si assiste a una maggiore diversificazione produttiva che introduce per la prima volta in molte regioni, e potenzia in altre, nuove colture, che offrono redditi non inferiori, e talora superiori, a quelli provenienti dalla cerealicoltura. Anche nel settore agricolo bisogna tuttavia tener conto delle peculiarità locali: il caso della Lombardia, la cui produzione agricola raddoppiò tra l'inizio e la fine del '600, è infatti ben diverso da quello delle regioni meridionali, toccate da un processo di grave impoverimento.
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