13.2 La crisi dell'Impero ottomano e l'Europa
La decadenza dell'Impero ottomano, che generalmente si ritiene abbia avuto inizio a partire dal 1566, data della morte di
Solimano I il Magnifico, fu un processo lento e complesso. Nella vita sociale ed economica, ad esempio, il declino non fu subito evidente, mentre i segni di una crisi profonda emersero ben presto in ambito istituzionale con il progressivo allontanamento dei sultani dall'esercizio diretto del potere. Già Solimano I, verso la fine del suo regno, aveva affidato i compiti decisivi del governo al gran visir, una sorta di primo ministro o gran cancelliere.
I gran visir provenivano dai devsirme, un ceto formato da sudditi di origine cristiana, strappati da piccoli alle famiglie. Convertiti all'islamismo, educati nelle scuole di palazzo, i devsirme entravano come soldati nel corpo speciale dei giannizzeri o diventavano - i migliori - alti funzionari dello Stato. I gran visir non possedevano il prestigio morale e il carisma che i diversi gruppi dell'Impero, e in particolare l'aristocrazia turca, riconoscevano invece al sultano. Fu quindi sempre più difficile per il governo di Istanbul affermare la propria volontà, soprattutto sulle province di più recente acquisizione.
L'indebolirsi del potere centrale diede slancio alle tendenze centrifughe già presenti nell'Impero ottomano. Il paese fu soggetto ad una sorta di feudalizzazione, causata anche dalla decadenza di uno dei pilastri del sistema amministrativo e fiscale: il timar. Il timar era un particolare sistema di riscossione delle imposte che veniva concesso in usufrutto, come stipendio, a un militare, in genere un alto ufficiale, il quale si impegnava in cambio a contribuire al mantenimento dell'esercito e a fornire un determinato numero di cavalieri completamente equipaggiati. Questo complesso sistema aveva il pregio di garantire la riscossione delle imposte da parte di un militare, che svolgeva così anche funzioni amministrative, e nello stesso tempo consentiva che il mantenimento dell'esercito non gravasse direttamente sulle casse dello Stato. Nel corso del XVII secolo, tuttavia, la corruzione e le tendenze autonomistiche dei "timarioti", che cessarono di osservare gli obblighi militari, minarono profondamente l'assetto dello Stato.
La vita economica dell'Impero turco risentì solo in parte della crisi politico-istituzionale. Certo lo spostamento sull'Atlantico del commercio delle spezie destinate all'Europa costituì un duro colpo per l'economia ottomana. Tuttavia le antiche vie carovaniere, che si spingevano dalla Turchia fino in India, o dal Cairo fino in Abissinia, non furono del tutto abbandonate: i mercanti di cotone, di seta, d'oro e di caffè continuarono a percorrerle. Istanbul rimase il centro di questi traffici. Non solo la capitale, ma anche le altre città di cui l'Impero era disseminato, si mostravano al viaggiatore del XVII secolo come centri commerciali attivi, animati dall'intensa vita dei bazar, popolati da mercanti e artigiani riuniti in potenti corporazioni di mestiere. L'economia turca, dunque, fino a tutto il XVIII secolo dimostrò una certa vitalità, nonostante la concorrenza europea e nonostante alcuni arcaismi, come l'assenza di un sistema creditizio, la limitata circolazione e l'insufficiente disponibilità di capitali.
L'Europa fu invece all'origine di un'acuta crisi del sistema militare ottomano. Il '600 e il '700 furono infatti secoli di dure sconfitte e proprio sul campo di battaglia i turchi dovettero riconoscere la superiorità raggiunta dall'Occidente. L'esercito ottomano era ancora molto numeroso, ma molto lento; ogni spostamento ricordava un vero e proprio esodo: grandi città di tende, con armenti e torme di schiavi al seguito, mettevano in scena uno spettacolo imponente, ma la macchina bellica era ormai superata. Anche le armi turche non potevano più reggere il paragone con quelle europee e ciò era tanto più sorprendente in quanto proprio nell'Impero ottomano l'invenzione dell'artiglieria era stata accolta con rapidità nel XV secolo e sviluppata con molta inventiva. Allora, e anche in seguito, furono soprattutto gli insuccessi militari a sollecitare il ceto dirigente a guardare all'Europa come modello.
Già nel XVII secolo furono tentate alcune riforme. Durante il regno di Maometto IV (1648-87) l'opera dei gran visir
Köprülü padre e figlio, di origine albanese, riuscì, nel ventennio 1656-76, a risanare parzialmente il bilancio dello Stato, a riorganizzare l'amministrazione, ad arginare il decadimento morale della corte. Negli stessi anni vi fu una ripresa dell'espansionismo ottomano culminata nella conquista di Creta, strappata ai veneziani nel 1669 dopo il lungo assedio di Candia, durato ventiquattro anni. Questa nuova proiezione offensiva si infranse nel 1683 sotto le mura di Vienna, dove l'esercito ottomano si era spinto con l'ambizioso disegno di umiliare l'Impero d'Austria, la potenza rivale nel dominio dei Balcani. Sconfitti, dopo un vano assedio, dal re polacco Giovanni Sobieski e incalzati dai rigori dell'inverno, i turchi furono costretti a una rapida e umiliante ritirata. Persa l'Ungheria (sulla quale dominava dai tempi della vittoria riportata a Mohács da Solimano il Magnifico nel 1526), l'Impero ottomano si trovò coinvolto in un lungo conflitto su più fronti. Ai tradizionali nemici - Venezia, Austria e Polonia - si aggiunse da allora la nascente potenza russa che contrastava gli ottomani sul Mar Nero e nel Caucaso.
Dalla fine del '600 e per tutto il '700, l'Impero ottomano fu ripetutamente in guerra con questi paesi. La pace di Carlowitz (1699) sancì la perdita dell'Ungheria e la cessione a Venezia della Dalmazia e del Peloponneso (Morea). Vent'anni dopo, a Passarowitz (1718), fu stabilito il passaggio all'Austria della Serbia settentrionale e del Banato, mentre Venezia dovette restituire la Morea. Ma nel 1739, con la pace di Belgrado, l'Austria restituì alla Turchia i territori annessi nel 1718. Alla fine del '700 l'Impero ottomano avrebbe visto ridotti i suoi domini nei Balcani ai territori a sud del Danubio, cioè all'estensione che avevano agli inizi del regno di Solimano il Magnifico. La Russia aveva conquistato il Caucaso, le coste settentrionali del Mar Nero e la Crimea. Indebolita territorialmente, la Turchia fu costretta inoltre a riconoscere alla Russia e all'Austria (nel 1774) la tutela dei sudditi cristiani dell'Impero. Trovava così una prima sanzione formale quella che sarebbe stata in seguito chiamata la
questione d'Oriente: l'insieme dei problemi relativi al destino dei territori e delle popolazioni balcaniche.
In questo lungo secolo di guerre, combattute in Europa e anche a est contro la Persia (ma qui con esiti favorevoli), vi furono fasi di rilancio politico e culturale. Brevi periodi tuttavia e senza risultati duraturi.
Durante il regno di
Ahmed III (1703-30) fu tentata una riorganizzazione delle più importanti istituzioni. È l'epoca conosciuta come il periodo dei tulipani così detto per la moda invalsa nell'alta società di coltivare questo tipo di fiore importato dall'Olanda. Fu un periodo di grande apertura e interesse nei confronti di tutti gli aspetti della cultura occidentale: ambasciatori dell'Impero vennero inviati in Europa affinché ne riportassero ogni notizia utile a restaurare i passati splendori. Rinnegati occidentali vennero utilizzati per riformare l'esercito e la marina, mentre la vita intellettuale venne stimolata grazie all'apertura di cinque biblioteche e all'introduzione, nel 1727, della stampa (fra i primi libri ad essere stampati, vi furono trattati sulla tecnologia bellica europea).
La tendenza all'occidentalizzazione venne però fieramente ostacolata dai gruppi che se ne sentivano maggiormente minacciati. Era il caso dei giannizzeri che, nel corso del XVII secolo, si erano venuti trasformando da un corpo militare scelto in una potente associazione, i cui membri (non più reclutati con l'antico sistema del devsirme) praticavano non di rado anche il commercio o l'artigianato e svolgevano contemporaneamente le funzioni di polizia. La protesta dei giannizzeri - che vedevano i loro privilegi messi in pericolo dalle riforme di sapore occidentalizzante - fu appoggiata attivamente dagli ulema (teologi e giuristi), che si consideravano i depositari della tradizione islamica ottomana.
L'opposizione conservatrice riuscì a coinvolgere e a influenzare l'opinione dei ceti popolari nei riguardi delle riforme, viste come un pericoloso tentativo di abbandonare i princìpi basilari della fede e della tradizione dell'Islam. Non a caso il "periodo dei tulipani" si concluse nel 1730 con una sanguinosa rivolta, protagonisti della quale furono proprio i giannizzeri, gli artigiani, gli ulema. La rivolta si trasformò ben presto in una ribellione dei ceti sociali meno abbienti (che difendevano la morigeratezza e la semplicità della fede e dei modi di vita tradizionali) ma fu duramente repressa.
Lo sfaldamento delle istituzioni ottomane, nonostante brevi fasi di ripresa, si aggravò sempre di più nel corso del XVIII secolo. Soltanto durante il regno di Mahmud II, salito al trono agli inizi dell'800, furono avviate e poi messe in atto a partire dal 1839 una serie di riforme (tanzimat), senza peraltro che ciò servisse ad arrestare il lungo declino dell'Impero.
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