13.3 L'India moghul
Tra il XV e il XVII secolo, i grandi paesi dell'Asia orientale, India, Cina e Giappone, subirono importanti trasformazioni politiche. Nuove dinastie si sostituirono alle precedenti, ponendo fine a situazioni di disordine sociale e istituzionale. In India e in Cina, inoltre, i nuovi detentori del potere furono stranieri, invasori giunti fin nel cuore di quelle antiche civiltà attraverso frontiere deboli e praticamente non sorvegliate: quelle con l'Iran per l'India, quelle del Nord per la Cina, dove mongoli, tartari e mancesi (manciù) erano in continuo fermento.
Queste popolazioni nomadi, che già da alcuni secoli premevano sulle frontiere di quei grandi Stati in decadenza, finirono però con l'essere assorbite all'interno delle civiltà stanziali. Infatti, dopo le grandi invasioni del '5-'600 - quella dell'India da parte dell'afghano Babur, e quella della Cina ad opera dei mancesi - le frontiere dei due Stati si chiusero, e questa volta saldamente, mettendo fine alla avventura delle scorrerie e delle conquiste nomadi. Le grandi compagini statali, con la loro amministrazione, le reti di scambio, le strutture urbane e le attività agricole, e soprattutto con i loro eserciti disciplinati, occuparono gli spazi aperti, che una volta erano stati esclusivo dominio dei nomadi, e sbarrarono loro definitivamente la strada.
Nel 1526 un esercito composto da tribù afghane guidate da
Babur, detto il Conquistatore, invase il subcontinente indiano dando vita a quello che, per i tre secoli successivi, sarebbe stato l'
Impero moghul. Non era la prima volta che l'India subiva un'invasione musulmana. Infatti, già nel X secolo gli eserciti islamici erano penetrati da nord-ovest insediandosi poi nella regione di Delhi. Nel corso dei secoli il potere del Sultanato di Delhi era tanto decaduto, che, nel giro di pochi anni, Babur riuscì a sottomettere per intero l'India del Nord. L'affermazione del nuovo potere e la sua espansione nel resto dell'India settentrionale furono portate avanti dai successori del Conquistatore fino a comprendere, nel XVII secolo, quasi tutti i territori a nord di Bombay.
Sin dai tempi del Sultanato di Delhi (XIII sec.) il territorio indiano era stato suddiviso in province e distretti e un'amministrazione capillare assicurava la riscossione delle imposte. Tale sistema venne mantenuto dagli imperatori moghul che spesso si adoperarono concretamente per apportare dei miglioramenti nell'economia delle singole province. Il vero punto di forza dell'Impero moghul era tuttavia l'esercito, composto da circa 8000 ufficiali di nobili origini che reclutavano, a seconda delle possibilità finanziarie, un numero variabile di mercenari, ai quali dovevano garantire equipaggiamento e stipendio. Il ruolo riconosciuto ai militari, nonché il loro numero veramente elevato faceva sì che in ogni villaggio, unità base della tradizionale società induista, fossero stanziati almeno due soldati; si garantiva così un efficiente controllo sia amministrativo che di polizia.
La struttura sociale dello Stato moghul era di tipo feudale, con una aristocrazia opulenta, che derivava i suoi poteri dal sultano, ma non poteva trasmetterli ereditariamente, ed una base contadina molto povera; mancava invece una borghesia imprenditoriale, anche se mercanti e artigiani accumulavano non di rado discrete fortune. Le attività artigianali erano infatti molto sviluppate, nonostante tecniche di lavorazione arretrate e un sistema di produzione particolarmente dispersivo. L'industria tessile, ad esempio, era in grado di far fronte in ogni momento alla crescita della domanda, grazie all'enorme diffusione in tutto il territorio di centri artigianali e al lavoro di migliaia di tessitori che si spostavano da una città all'altra. Rispetto all'Europa, l'artigianato tessile indiano si basava su un sistema di produzione e di commercializzazione del prodotto molto diverso, in quanto disperso e disseminato in mille villaggi. Nonostante ciò, fino alla rivoluzione tecnologica inglese, le stoffe indiane furono per qualità e quantità superiori a quelle di tutto il resto del mondo.
L'arrivo dei nuovi dominatori musulmani aveva riproposto il grave problema della convivenza tra la cultura islamica e quella indiana. Infatti l'islamismo e l'induismo, oltre ad essere rispettivamente l'una la religione degli stranieri invasori e l'altra quella delle popolazioni dominate, erano espressione di due diverse visioni del mondo e restarono pertanto totalmente estranei: li separavano tutte le più importanti regole di vita, dalle tradizioni matrimoniali a quelle alimentari. Persino il modo di onorare i morti era diverso: i musulmani usavano seppellire i propri defunti, gli indù li cremavano. Inoltre, il concetto islamico di proselitismo risultava incomprensibile agli indù per i quali si apparteneva ad una religione per nascita e non per elezione. D'altra parte i musulmani - tutti eguali al cospetto del loro Dio - inorridivano di fronte al sistema indù delle caste che determinava, una volta per sempre, l'intero destino sociale ed economico degli individui che ne facevano parte. Queste differenze vennero a volte aggravate dagli stessi imperatori moghul, che contribuirono con la loro politica intollerante a fomentare le discordie e l'odio di religione.
I difficili rapporti tra le due culture furono parzialmente sanati durante il regno di
Akbar (1556-1605), uno tra i più grandi imperatori moghul. Coinvolgendo direttamente l'aristocrazia indù nell'amministrazione e nella vita politica dello Stato, Akbar riuscì a limitarne le tendenze autonomistiche e a consolidare il potere centrale. Vennero varate una serie di oculate riforme - tra cui l'eliminazione della tassa (gizja) imposta ai sudditi non musulmani - che attenuarono notevolmente la discriminazione nei confronti degli indù.
Tale politica venne in parte rispettata dai successori di Akbar, che riuscirono in questo modo a confermare e consolidare le conquiste dell'Impero. Questo difficile processo di pacificazione interna venne però bruscamente interrotto dalla politica intollerante dell'ultimo grande imperatore moghul:
Aurangzeb (1658-1707). Questi, osservante fino al fanatismo, revocò tutte le leggi fin allora emanate in favore degli indù. La reazione fu immediata: i fedeli rajput (popolazioni dell'India nordoccidentale) si sentirono traditi e negarono il loro appoggio ai moghul, mentre i sikh, una setta guerriera di nuova formazione, si ribellarono. I successori di Aurangzeb non riuscirono a opporsi al crescente potere dei Sultanati indù (i maratti) che uno dopo l'altro, approfittando della debolezza del potere centrale, si dichiararono autonomi contribuendo alla disgregazione dell'Impero. I nuovi Stati regionali indù, sorti in seguito alla decadenza dello Stato musulmano, non seppero però darsi una dimensione unitaria e le loro continue ostilità avrebbero consentito agli inglesi di conquistare l'India tra il XVIII e il XIX secolo.
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