14.5 L'esercito prussiano e le forme della guerra
Federico II e la Prussia furono i grandi protagonisti delle guerre continentali dal 1740 al 1763. Ma lo strumento che li impose sulla scena europea, l'esercito, era già stato forgiato molti anni prima. Già Federico Guglielmo il Grande Elettore disponeva di 45.000 soldati. Il padre di Federico II, Federico Guglielmo I (1713-40), portò gli effettivi a 80.000: la sua maniacale attenzione per le truppe e la sua estensione della disciplina militare a tutti gli aspetti della vita furono tali da meritargli il soprannome di "re sergente". La più importante vittima di questa concezione esasperata della disciplina fu proprio il giovane Federico II, imprigionato per una fuga giovanile e sottoposto a una durissima educazione.
Federico II non solo proseguì, seppure con tutt'altro stile, il rafforzamento dell'esercito, portandolo alla fine del suo regno a 195.000 uomini (l'esercito asburgico ne contava 297.000, quello russo 224.000 e 182.000 il francese) ma ampliò quella organizzazione burocratico-amministrativa che aveva come obiettivo principale il mantenimento della macchina bellica. Federico II sembrava condividere l'immagine che i contemporanei avevano della Prussia: non uno Stato con un esercito, ma un esercito con uno Stato.
Se l'esercito era una macchina così preziosa e costosa, bisognava evitare le battaglie distruttive e disporre sagacemente non solo la manovra, ma tutto quello che assicurava un sicuro approvvigionamento delle truppe. Così Federico II espresse questa teoria nel 1747:
Il maggior segreto nella condotta della guerra e il capolavoro per un buon generale è di riuscire ad affamare l'avversario. La fame esaurisce il nemico più sicuramente del coraggio altrui e voi otterrete il successo con meno rischi che attraverso il combattimento. Ma poiché avviene ben di rado che la guerra sia conclusa dalla conquista di una grande base di operazioni e soltanto le grandi battaglie conducono alla decisione, è necessario usare tutti i mezzi possibili per raggiungere questo scopo [...]. L'esito della guerra è deciso dalle grandi battaglie e non si conclude se non con esse. Così dobbiamo combatterle al momento e nel modo opportuni e con tutti i vantaggi dalla nostra parte [...]. Le modalità per crearle consistono nel tagliar fuori il nemico dai suoi rifornimenti e scegliere il terreno a noi più favorevole.
Nell'arte militare del grande Federico l'audacia non può essere disgiunta dalle valutazioni politico-diplomatiche, la potenza delle armate dalla organizzazione logistica.
Tutti gli eserciti del tempo avevano raggiunto un livello di disciplina molto alto: erano costituiti da professionisti a tutti gli effetti, e per gran parte non erano volontari. Questi soldati, ha scritto lo storico inglese Michael Howard, "erano considerati individui di una specie diversa, reclutati per tutta l'Europa a forza o col miraggio di un premio di arruolamento, tenuti a freno da una classe di sottufficiali, veri cani da guardia, che mantenevano la disciplina con largo uso dello staffile, addestrati senza respiro fino a riuscire a compiere come automi, anche sotto il fuoco nemico, le elaborate evoluzioni indispensabili a muovere i loro estesi e ingombranti schieramenti. Erano diventati persino capaci - cosa ancora più importante - di rimanere allineati, in piedi, immobili per ore, mentre il nemico li decimava sparando a pochi passi di distanza".
Disciplina e addestramento avevano raggiunto i maggiori risultati nell'esercito prussiano. Solo queste doti consentirono a Federico quel tipo di manovra, l'ordine obliquo, che, senza modificare radicalmente la strategia del tempo, gli diede grandi vittorie su avversari molto superiori di numero.
Si sostiene in genere che le guerre del '700 furono meno dure e sanguinose perché non più animate dai contrasti religiosi del secolo precedente. Ma la riduzione del saccheggio delle città e dei territori conquistati fu il risultato non tanto di una preoccupazione umanitaria, quanto della necessità di evitare che gli eccessi fossero distruttivi anche per le forze occupanti. In parte, i generali spesero con più accortezza e razionalità le vite dei loro soldati, ma il vero problema era che non si poteva né si voleva dissipare una ricchezza così importante come l'esercito. Il reclutamento e l'addestramento erano difficili e costosi. La coscrizione non era obbligatoria, salvo che in Prussia e in Svezia, ma anche in questi paesi non fu applicata con continuità. Dovunque le esenzioni erano diffusissime e riguardavano innanzitutto i ceti privilegiati e più abbienti. In ogni caso, le popolazioni locali non erano arruolate di regola nell'esercito, ma nella milizia, che era impiegata solo all'interno e aveva un addestramento meno rigoroso e una ferma più breve. I volontari negli eserciti erano una minoranza: si trattava spesso di sbandati, di poveri, di criminali che intendevano sfuggire alle pene e così via. Un certo quantitativo di soldati era tradizionalmente assicurato dall'emigrazione da alcune regioni europee - la Svizzera innanzitutto e, in Germania, l'Assia e il Brunswick. Tutti gli altri erano reclutati con la forza o con l'inganno da sottufficiali privi di scrupoli.
I disertori erano numerosissimi, talora superiori al 20% degli effettivi; durante le campagne militari si evitava di far uscire le pattuglie o di accamparsi in prossimità dei boschi per timore di favorire le diserzioni. Difficile immaginare per questa epoca un'adesione convinta dei soldati agli obiettivi di guerra. Impossibile ipotizzare un'identificazione di tipo nazionale per eserciti composti in gran parte da stranieri, spesso anche nei ranghi degli ufficiali. Forse solo contro i turchi valevano le tradizionali contrapposizioni religiose. Prevalsero certamente la disciplina e il terrore per le durissime punizioni (p. 364), accompagnati da alcuni fattori di aggregazione elementare, tipici di ogni gruppo: lo spirito di corpo, l'accettazione di un capo, le solidarietà collettive.
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