15.7 Povertà e controllo sociale
Nella società preindustriale una percentuale elevata della popolazione, oscillante fra il 20 e il 40%, era costituita da
poveri. Termine generico che indicava non solo i mendicanti, i vagabondi e i senza lavoro, ma anche quanti, nelle campagne e nelle città, non riuscivano sempre a raggiungere, con il lavoro, livelli minimi di sussistenza. Una popolazione numerosa e in parte mobile, obbligata dalla mancanza di cibo a fuggire la miseria e le carestie affollandosi nei luoghi (città e monasteri) dove la carità era maggiormente praticata.
La condizione del povero era largamente accettata dalla tradizione cristiana, di cui la carità era uno dei princìpi costitutivi. E la povertà era considerata non solo un valore in sé, una virtù, ma anche la testimonianza di una elezione divina. Di qui l'immagine del povero come "vicario di Cristo", di qui la scelta di povertà degli ordini mendicanti.
Alle soglie dell'età moderna, la beneficenza rientrava nei compiti non solo delle istituzioni ecclesiastiche, ma anche delle amministrazioni cittadine. Fra il 1520 e il 1530 si determinò, però, una profonda trasformazione dell'atteggiamento nei confronti dei poveri tanto sul piano ideologico che su quello organizzativo. Questa trasformazione ebbe fra le sue cause innanzitutto il vistoso aumento del pauperismo, legato all'incremento demografico. Cambiando le dimensioni quantitative del fenomeno, cambiò anche l'immagine del povero, sempre più spesso indicato come possibile elemento di disordine sociale (e persino di contagio). La povertà entrò così in un quadro di valutazioni non più solo religiose, ma di natura economica e sociale, che affondavano le radici nel sistema di valori e di ideologie proprie dei centri di produzione manifatturiera e di scambio commerciale. L'assistenza aveva un costo elevato e la presenza dei poveri nel tessuto urbano rappresentava un pericolo, un rischio. Una popolazione fluttuante e non controllabile di poveri inurbati rappresentava per le città un elemento che rischiava di vanificare l'attenta politica di approvvigionamento dei generi di prima necessità, indispensabile strumento di garanzia della tranquillità sociale. Questi elementi di "calcolo" si accompagnarono allo sviluppo di un'etica del lavoro che tendeva sempre meno ad accettare chi viveva di elemosina. Non si trattava di negare la povertà, ma di controllarla e disciplinarla. Si delineò la necessità di distinguere fra poveri veri e falsi, buoni e cattivi, inabili e abili al lavoro. Si punirono gli accattoni e i vagabondi e apparve essenziale imporre l'obbligo del lavoro. Queste proposte ebbero fra i loro sostenitori Erasmo e soprattutto l'umanista e pedagogista spagnolo Juan Luis Vives (1492-1540, autore del celebre trattato De subventione pauperum, 1526), ma nella riorganizzazione assistenziale intervennero direttamente anche i grandi riformatori Lutero e Zwingli.
Nelle città delle Fiandre e della Germania, ma anche in Italia e in Francia, furono attuate le prime riforme, consistenti nella realizzazione di strutture accentrate per l'assistenza, nella repressione della mendicità (che per i recidivi poteva giungere fino alla pena di morte) e nel tentativo di impiegare i poveri nei lavori pubblici. Queste riforme, unite alla concezione del lavoro come valore morale e religioso, accomunarono sia le città cattoliche che quelle protestanti. Queste iniziative non si rivelarono sufficienti e la necessità di un controllo della mendicità - intesa come espressione dell'ozio e di un mondo organizzato di furfanti e di imbroglioni (descritto in una vivace letteratura) - portò ad una ulteriore svolta nella politica assistenziale: poveri, vagabondi, mendicanti cominciarono ad essere internati e reclusi in ospizi e ospedali appositamente costituiti. Il principio dell'
internamento cominciò ad essere applicato fra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo; ma già nella seconda metà del '500 furono organizzati in Inghilterra - dove la soppressione dei monasteri ad opera di Enrico VIII aveva reso improvvisamente grave il problema dell'assistenza ai poveri - numerose case di lavoro coatto. Anche in questo caso il sistema fu comune tanto al mondo cattolico che a quello protestante. A Roma, nel 1581, 850 mendicanti furono reclusi in un ospizio: l'iniziativa, che ebbe breve durata, fu ripresa nel 1587 durante il pontificato di Sisto V. Ad Amsterdam furono istituite alla fine del '500 una casa per gli uomini e una casa per donne e bambini. Nella prima (Rasphuis) si raschiava il legno Brazil, nella seconda (Spinhuis) l'attività principale era la filatura. L'Ospedale generale di Parigi rappresenta forse l'istituzione più nota. Fondato nel 1656, e composto da vari ospizi, ospitava alla fine del '600 circa 10.000 individui (poveri, malati, orfani, prostitute, ecc.). In tutte queste istituzioni orari e disposizioni estremamente rigidi regolavano il lavoro, l'istruzione e la preghiera. Ad Amsterdam, come racconta lo storico polacco Bronislaw Geremek, "se un povero si rifiutava di lavorare veniva rinchiuso in un sotterraneo che lentamente veniva riempito d'acqua. Il recluso aveva a disposizione una pompa e per salvarsi dall'annegamento doveva pompare via senza sosta l'acqua dal locale. Questo era ritenuto un metodo efficace per sconfiggere la pigrizia e far prendere abitudine al lavoro".
Il lavoro era considerato un valore ed un obbligo, l'ozio una colpa sociale. L'affermarsi di una nuova etica del lavoro era sostenuta dall'intervento diretto delle istituzioni pubbliche. L'analisi dei regolamenti e dei sistemi punitivi consente di capire, come ha scritto il saggista francese Michel Foucault, che "l'esigenza stessa del lavoro era assoggettata ad un esercizio di riforma e di coercizione morale, che fornisce se non l'ultimo significato, almeno la giustificazione essenziale dell'internamento. È un fenomeno importante questa invenzione di un luogo di coercizione dove la morale infierisce per via d'assegnazione amministrativa. Per la prima volta si istituiscono delle fondazioni morali, dove si compie una stupefacente sintesi tra obbligo morale e legge civile". L'internamento in queste istituzioni non voleva essere tanto una condanna, quanto la realizzazione di "cittadelle della pura moralità": la "grande reclusione" del '600 aveva in sé molti contenuti utopistici, ma non escludeva affatto una notevole dimensione coercitiva.
Gli ospedali e gli ospizi avevano una organizzazione e una struttura che ricordava il convento e prefigurava la prigione; ma per l'attività lavorativa erano organizzati come manifatture. Questo carattere fu particolarmente evidente nel nuovo sistema delle "case di lavoro" inglesi (workhouses), la prima delle quali fu istituita per iniziativa di un ricco mercante a Bristol nel 1696. Il sistema ebbe grande diffusione in Inghilterra dove le leggi sui poveri (Poor Laws, varate nel 1601 e rinnovate nel 1662) avevano stabilito che l'assistenza poteva essere concessa solo ai poveri residenti, ad opera delle parrocchie e sotto il controllo di supervisori nominati dai giudici di pace. Le disposizioni sulla residenza miravano a reprimere le forme di vagabondaggio - considerato il maggiore pericolo sociale - ma divennero presto un ostacolo alla mobilità della manodopera, e quindi aspramente criticate da industriali ed economisti, soprattutto in un periodo di espansione economica e di creazione di nuovi settori industriali (
17.6).
La "grande reclusione" fu la risposta politica e amministrativa a un problema sociale: i poveri furono considerati elementi asociali, equiparati ai pazzi e alle prostitute, e fatti oggetto di un'esplicita
emarginazione. Un tentativo che - in ossequio ai princìpi uniformatori della società per ceti - comportava anche, in qualche modo, un conferimento di status a chi sembrava sfuggire ai tradizionali ruoli sociali. Tanto sul piano produttivo che su quello dell'efficacia dei "dispositivi di controllo", la "grande reclusione" si rivelò un fallimento. Non fu in grado innanzitutto di controllare l'ampiezza di un fenomeno estremamente variabile in rapporto all'andamento della congiuntura economica. Fu inoltre duramente ostacolato da quanti - ordini ecclesiastici e istituzioni laiche - difendevano, per motivi religiosi e umanitari, l'antico sistema di protezione dei poveri. Nella seconda metà del '700 filantropia e analisi sociale convergeranno nel tentativo di individuare più correttamente una realtà che sarà progressivamente superata solo nel corso del XIX secolo con la graduale trasformazione dei poveri in proletariato industriale.
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