16.2 Cultura e politica nel '700 francese
Perché la Francia? È questo uno degli interrogativi di fondo relativi all'Illuminismo, che fu certamente un fenomeno europeo, ma ebbe in Francia il suo centro propulsore e la sua maggiore diffusione.
La Francia agli inizi del '700 era il paese più popolato e complessivamente più ricco del continente. La sua influenza politica si estendeva su tutta l'Europa. La sua vita di corte era da tempo il modello da imitare. Le arti, soprattutto quelle della parola (il teatro, la letteratura, l'oratoria), avevano avuto nel '600 uno straordinario sviluppo. L'ampiezza e la ricchezza dei ceti privilegiati alimentavano un numeroso strato intellettuale, in parte di origine nobiliare, in parte legato a un diffuso mecenatismo. L'assolutismo di Luigi XIV aveva, per altro verso, suscitato una estesa cultura di opposizione. Giansenisti, libertini, ugonotti espulsi dal paese, aristocratici ostili all'assolutismo avevano tutti contribuito a creare un terreno favorevole al dibattito e un pubblico disposto ad accogliere e a diffondere gli argomenti degli oppositori, anche se non sempre pronto a schierarsi politicamente.
Da questo intreccio insolitamente ampio di relazioni culturali, anche clandestine, nacquero le prime opere dell'Illuminismo: scritti che ponevano al centro della riflessione la società del tempo, il sistema politico e i fondamenti della monarchia di diritto divino. Destinate al grande pubblico, le opere che affrontavano l'analisi della società furono non solo trattazioni sistematiche, ma spesso scritti più agili in forma di saggio; talora l'adozione di un artificio letterario affidò a immaginari viaggiatori di altre civiltà la descrizione e la critica del sistema politico e sociale occidentale e di quelle che apparivano, ad occhi estranei, le stranezze, i paradossi e le anomalie del mondo europeo.
Un esempio di questo tipo, che ebbe immediato e largo successo furono le Lettere persiane (1721: p. 426) di
Charles de Secondat, barone di
Montesquieu (1689-1755), nobile di toga, e membro del Parlamento di Bordeaux. Ma la fama di Montesquieu è legata soprattutto a l'Esprit des lois ("Lo spirito delle leggi"), pubblicato nel 1748, una delle opere più importanti del pensiero illuminista. Libro composito in cui confluiscono considerazioni politiche, morali, giuridiche, l'Esprit des lois è significativo soprattutto per quello che oggi potremmo chiamare il suo intento sociologico, realizzato, nella descrizione dei meccanismi regolatori della società, con un procedimento privo di riferimenti religiosi e metafisici, modellato sul metodo sperimentale delle scienze.
Dopo aver descritto i caratteri dei tre sistemi politici fondamentali - repubblica, monarchia, dispotismo - e dei princìpi che li reggono (rispettivamente virtù, onore e paura), Montesquieu sottolineò l'importanza dei corpi intermedi (innanzitutto i Parlamenti, a uno dei quali apparteneva) come antidoto alla degenerazione delle monarchie in dispotismo. Dall'esame del sistema politico inglese trasse la convinzione dell'importanza della
separazione dei poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario. "Non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore. Se fosse unito con il potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se la stessa persona, o lo stesso corpo di grandi, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le pubbliche risoluzioni, e quello di giudicare i delitti e le liti dei privati". La difesa del principio della separazione dei poteri è il contributo maggiore di Montesquieu al costituzionalismo liberale e democratico dei secoli successivi.
L'esperienza del viaggio, tipica degli intellettuali, degli artisti, degli uomini colti del tempo, sollecitò quella sistematica curiosità e comparazione dei caratteri e dei costumi dei popoli, delle condizioni naturali e climatiche, delle forme dell'attività economica, che caratterizzò molte opere dell'Illuminismo. L'esaltazione dell'Inghilterra in confronto con la Francia - del sistema politico inglese, della filosofia di Locke e della scienza di Newton - era già stata al centro delle Lettere inglesi o Lettere filosofiche (1734) di Voltaire.
François-Marie Arouet detto
Voltaire (1694-1778) di estrazione borghese (era figlio di un notaio parigino) fu forse il più tipico e al tempo stesso più singolare philosophe francese del '700. Praticò tutti i generi letterari: fu drammaturgo, poeta, storico, saggista e soprattutto pubblicista. La vivacità di una brillante intelligenza, accompagnata da sarcasmo, ironia e spregiudicatezza, percorre tutta la sua sterminata produzione. Divulgatore della filosofia inglese e del deismo, difensore della tolleranza, nemico dell'oscurantismo e dei privilegi, Voltaire teorizzò una monarchia assoluta illuminata dall'opera dei filosofi. Esemplare fu la sua amicizia con Federico II di Prussia che lo volle alla corte di Berlino (1750-52). Visse in seguito nei pressi di Ginevra, dove si ritirò per tutelare la propria indipendenza, ma rimase al centro dell'attenzione dell'Europa colta che lo vide schierato in tutte le battaglie per le riforme. Le sue posizioni politiche e filosofiche furono espresse in forma sintetica nel Trattato sulla tolleranza (1763) e nel Dizionario filosofico (1764).
La realizzazione culturale più significativa dell'Illuminismo francese fu un'opera collettiva, l'
Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. Fra il 1751 e il 1765 - eludendo il decreto regio del 1752 che ne vietava la pubblicazione e la diffusione - uscirono 17 volumi di testo completati, nel 1772, da 11 volumi di tavole. Negli anni della pubblicazione la figura del philosophe si identificò spesso con quella dell'enciclopedista: per i numerosi collaboratori e per le dure battaglie combattute contro la censura e contro l'ostilità degli ambienti culturali più retrivi, l'Enciclopedia fu considerata espressione di un vero e proprio "partito filosofico".
Pensata inizialmente come traduzione di un'opera enciclopedica inglese, divenne presto un progetto autonomo: il carattere di impresa editoriale rese necessario trovare un punto d'incontro fra investimenti, costi di produzione, aspettative del pubblico e novità dei contenuti. Questo obiettivo fu raggiunto a vantaggio sia degli editori (che ne trassero larghi profitti), sia del contenuto, grazie alla straordinaria capacità organizzativa e all'energia intellettuale di
Denis Diderot (1713-1784), scrittore e filosofo, e principale curatore dell'Enciclopedia. Diderot fu affiancato nelle fasi iniziali dal matematico
Jean Baptiste d'Alembert (1717-1783) che scrisse il Discorso preliminare (1751), e in seguito da Paul Henry Thiry, barone
d'Holbach (1723-1789), sostenitore di un radicale e rigoroso materialismo. L'Enciclopedia ebbe un largo successo, dapprima presso i ceti più abbienti dato il prezzo cospicuo dell'edizione in grande formato; solo in seguito le ristampe in volumi più maneggevoli e meno costosi ne assicurarono una distribuzione più estesa.
All'Enciclopedia parteciparono tutti i maggiori intellettuali francesi del tempo, ma moltissime voci furono redatte da Diderot e da un ristretto numero di collaboratori. Le linee direttrici dell'opera facevano capo alla filosofia di Bacone, Cartesio, Locke e alla scienza di Newton. Lo sforzo di divulgazione investì ogni settore e fu accompagnato dalla lotta contro l'oscurantismo e i pregiudizi della cultura tradizionale. I contenuti più audaci e innovatori furono talora affidati a voci tecnico-scientifiche o apparentemente di minore importanza, rintracciabili attraverso opportuni rinvii. L'impianto, che nelle intenzioni di d'Alembert doveva mirare all'unità del sapere, fu in realtà più aperto e meno sistematico, e in questo rispecchiò soprattutto le posizioni di Diderot. Difficile dire a quale aspetto fu più legata l'influenza dell'Enciclopedia: se alla diffusione delle tematiche o alla struttura dell'opera o alla battaglia culturale per la sua pubblicazione. In ogni caso essa rappresentò il momento organizzativo più alto del movimento illuminista.
Negli stessi anni e nello stesso ambiente maturò il pensiero di
Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), la personalità più problematica e complessa dell'Illuminismo. Ginevrino, figlio di un orologiaio, dopo una giovinezza irrequieta entrò in contatto, a Parigi, con i circoli intellettuali e collaborò all'Enciclopedia con articoli di argomento musicale e redigendo la voce Economia politica. I primi suoi scritti che suscitarono l'attenzione del pubblico furono il Discorso sulle scienze e le arti (1750) e il Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza fra gli uomini (pubblicato nel 1755), nei quali Rousseau criticava radicalmente la società e le istituzioni, e guardava alla storia come progressiva decadenza e corruzione, rispetto a uno stato originario in cui gli uomini erano innocenti e uguali. Fondamento dell'ineguaglianza era stata l'introduzione della proprietà privata: "Il primo che recinse un terreno e dichiarò questo è mio e trovò persone tanto semplici da prestargli fede, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, assassinii, miserie e orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pioli e colmando la fossa, avesse gridato ai suoi simili: non ascoltate questo impostore; se dimenticate che i frutti sono di tutti, e la terra di nessuno, siete perduti!". Queste posizioni, che rovesciavano la visione tipicamente illuminista della società in termini di progresso e incivilimento, determinarono la rottura di Rousseau con il mondo dei philosophes e degli enciclopedisti. Tuttavia egli non si fece sostenitore di un ritorno a un mitico stato di natura, ma elaborò una proposta di rifondazione della società e dell'uomo: al progetto politico esposto nel Contratto sociale (Du contrat social, 1762) affiancò infatti nell'Emilio (1762) un progetto pedagogico.
Per ricreare le condizioni dell'eguaglianza Rousseau ipotizzò un patto sociale in cui i singoli si uniscono in un corpo organico rinunciando ai loro interessi particolari in funzione del bene comune. La
volontà generale è l'espressione di questa nuova comunità sociale: non somma delle volontà individuali, ma sintesi dei fondamenti razionali ed etici dell'uomo. La volontà generale è "un atto puro dell'intelligenza, che ragiona nel silenzio delle passioni su ciò che l'uomo può esigere dal suo simile, e su ciò che il suo simile può esigere da lui". Questo modello sociale ha la possibilità di realizzarsi solo in un regime di democrazia diretta in cui la sovranità è inalienabile e nessuno può essere delegato ad esercitarla nel nome del popolo (p. 426). Anche se solo le piccole comunità, come la Repubblica di Ginevra, sembravano a Rousseau disporre delle condizioni per l'instaurazione di un simile sistema politico, il Contratto sociale fu, a partire dalla rivoluzione francese, uno dei maggiori testi ispiratori del pensiero politico democratico e rivoluzionario. Un testo nel quale venivano poste anche due delle questioni fondamentali delle democrazie contemporanee: il rapporto fra rappresentanti e rappresentati e quello fra utilità sociale e interesse dei singoli. Un'analoga modernità di intuizioni è presente nell'Emilio, in cui era delineato un modello educativo "naturale", che rovesciava le tradizioni del passato e promuoveva una nuova pedagogia, fondata sul principio del libero sviluppo della personalità del bambino.
La monarchia temperata dalle "libertà" nobiliari e dal controllo dei corpi intermedi descritta da Montesquieu, il dispotismo illuminato proposto da Voltaire, la democrazia diretta teorizzata da Rousseau furono i maggiori, ma non gli unici risultati della riflessione politica del '700 francese. Accanto ad essi vanno ricordate le correnti utopistiche, favorevoli tutte alla soppressione della proprietà privata considerata come causa di ogni male sociale. L'opera più nota in questo senso fu il Codice della natura (1755) attribuito a un non bene individuato abate di nome Morelly, fautore dell'eguaglianza e della comunità dei beni. Oscillante fra utopia sociale di tipo comunistico e realismo riformatore fu il pensiero dell'abate Gabriel Bonnot de Mably (1709-1785). Molto letto e apprezzato dai contemporanei, avverso tanto al sistema inglese che al dispotismo illuminato, Mably sostenne anche una sorta di monarchia basata su istituzioni repubblicane e rappresentative, in cui era dilatato al massimo il potere legislativo e svuotato quello esecutivo.
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