16.3 L'economia politica, la storia e le altre scienze
Un altro aspetto della straordinaria ricchezza del pensiero illuminista è testimoniato dalla nascita di una nuova scienza, l'
economia politica, costituitasi come disciplina autonoma ad opera della scuola fisiocratica francese e dello scozzese Adam Smith. Essi furono i primi, infatti, ad individuare un preciso campo d'indagine, quello della produzione, al fine di costruire un modello di funzionamento che rendesse ragione degli elementi che compongono il sistema economico e della loro interdipendenza.
François Quesnay (1694-1774), medico e naturalista, fu il maggior rappresentante della
fisiocrazia (dal greco physis, "natura" e kratein, "dominare"), la dottrina che considerava la terra come la fonte unica e primaria della ricchezza. Nel suo Tableau économique (1758) Quesnay diede la sistemazione più organica della nuova teoria: descrisse il meccanismo economico come una struttura dinamica di tipo circolare (ispirata al modello della circolazione del sangue di Harvey) il cui motore principale è rappresentato dall'attività agricola. È l'agricoltura, infatti, che, grazie alla naturale fertilità del suolo, produce - secondo Quesnay - quel sovrappiù di ricchezza (prodotto netto) basilare per l'allargamento del sistema. Gli addetti all'agricoltura sono da lui considerati gli unici lavoratori produttivi, mentre i mercanti e gli artigiani sono ritenuti una "classe sterile", non di produttori, ma soltanto di distributori e trasformatori di ricchezza.
Da questa teoria i fisiocratici derivavano una serie di indicazioni tecniche e politiche. Perché l'attività economica potesse esprimere tutte le sue potenzialità era necessario riconoscerne e assecondarne le tendenze spontanee senza alterarne il naturale funzionamento: di qui la proposta di un vero e proprio programma di riforme teso a favorire lo sviluppo di un'agricoltura di tipo capitalistico e incentrato sulla libertà dei commerci (soprattutto dei grani) e l'abolizione dei dazi doganali, sulla soppressione dei privilegi e dei monopoli (e in questo i fisiocratici erano conseguentemente anti-mercantilisti), sull'introduzione infine di un'imposta unica sulla rendita fondiaria.
Con i fisiocratici la scienza economica si era ormai data un proprio autonomo statuto; e nasceva la convinzione che l'analisi dei meccanismi produttivi consentisse di comprendere l'intera organizzazione sociale.
Il salto qualitativo che consentì di superare gli elementi naturalistici del pensiero fisiocratico fu compiuto grazie all'opera di Adam Smith (1723-1790). Studioso di filosofia morale, Smith rintracciava, come Hume (di cui si parlerà più avanti) e altri filosofi scozzesi, nel sentimento (simpatia, interesse, ecc.) il movente dell'agire e dell'associarsi, e nell'utile individuale e sociale il fondamentale criterio di comportamento. Nel suo capolavoro, Ricerche sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations, 1776), postulò l'esistenza di un ordine naturale nel quale, se ciascuno è lasciato agire liberamente secondo il proprio interesse particolare, necessariamente contribuisce al benessere collettivo e alla felicità generale, secondo una provvidenziale volontà che domina le azioni dei singoli: un agire che va al di là delle originarie intenzioni individuali e che appare guidato da quella che Smith chiama una "mano invisibile". Al centro del modello economico di Smith sta il concetto di lavoro produttivo, misura del valore di scambio delle merci e unica fonte della ricchezza sociale. L'espansione del sistema è dunque legata all'incremento della produttività, a sua volta garantita dalla crescente divisione del lavoro (p. 447), dal reinvestimento continuo dei profitti e dalla innovazione tecnologica. Anche Smith, come i fisiocratici, approdò alla convinzione che il libero mercato e il libero scambio fossero le condizioni ottimali per lo sviluppo dell'attività economica. La ricchezza e l'importanza delle sue analisi ne fecero il fondatore di quella che sarà definita l'
economia classica e il primo teorico del
liberismo.
Non sempre il dispiegarsi senza limiti del pensiero illuminista nella riflessione sull'uomo e sul suo ambiente giunse, come fu per l'economia politica, fino alla fondazione di nuove scienze. Ma quasi tutti i settori di studio vennero arricchiti e si gettarono le basi di nuovi campi d'indagine. Così i libri di viaggi e le descrizioni dei costumi e delle abitudini delle popolazioni "selvagge" favorirono l'embrionale costituzione, alla fine del '700, di quell'insieme di osservazioni che sfoceranno, nel secolo successivo, nell'antropologia culturale e nell'etnologia. Grande successo - anche per la critica della politica europea di indiscriminato sfruttamento delle colonie - ebbe un'opera vicina a questi interessi, la Storia filosofica e politica delle colonie e del commercio degli europei nelle due Indie (1770) di
Guillaume-Thomas Raynal (1713-1796).
L'ampliamento degli orizzonti storiografici ai paesi extraeuropei non fu il solo segno di un rinnovamento delle discipline storiche. Ancora più importante fu il definitivo superamento della concezione provvidenzialistica a favore di una visione laica della storia a cui si affiancò un nuovo interesse per la società e i modi di vita, che lasciava in ombra quello più tradizionale per le guerre e le contese dinastiche. Esemplari di questo orientamento furono le due grandi opere di Voltaire Il secolo di Luigi XIV (1751) e il Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (1756). Forse il maggior contributo alla ricerca storica venne dall'Illuminismo inglese.
Edward Gibbon (1737-1794), autore di una monumentale Storia della decadenza e caduta dell'Impero romano (1776-88), sostenne con grande erudizione che il declino dell'Impero romano e il suo crollo finale erano stati causati dall'emorragia di uomini e mezzi provocata dal trionfo del cristianesimo. Lo scozzese William Robertson (1721-1793) è ricordato soprattutto per la sua Visione dei progressi della società europea premessa alla Storia del regno dell'imperatore Carlo V (1769). Il suo conterraneo
David Hume (1711-1776) pubblicò una celebre Storia d'Inghilterra (1754-61). Apprezzato dai contemporanei soprattutto per la sua opera storica, Hume fu in realtà uno dei maggiori filosofi del '700. Rifondò infatti la teoria della conoscenza in termini rigorosamente empiristici: riconducendo alle capacità associative del soggetto le relazioni spaziali, temporali e causali tra i fenomeni, giunse a negare il carattere universale e necessario delle leggi scientifiche.
Altrettanto significativo fu lo sviluppo delle ricerche scientifiche, così come quello delle tecnologie legate alle scienze fisiche, chimiche e naturali. Particolare importanza ebbero gli studi di elettrologia con il bolognese
Luigi Galvani (1737-1798) e il comasco
Alessandro Volta (1745-1827), e soprattutto quelli di chimica grazie all'opera del francese
Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794), il vero fondatore, con i suoi studi sui gas e sugli elementi, della chimica moderna.
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