17.6 La fabbrica e le trasformazioni della società
L'avvento del
sistema di fabbrica sconvolse i metodi di produzione e le forme di organizzazione del lavoro. In Inghilterra, fino alla metà del '700 la maggior parte dell'attività lavorativa si svolgeva o nelle botteghe artigiane, che continuavano ad essere sottoposte nelle città ai regolamenti restrittivi delle corporazioni, o più comunemente nei sobborghi e nelle campagne dove il metodo di produzione prevalente era quello a domicilio.
Con l'introduzione delle macchine e del vapore questo sistema venne progressivamente ma ineluttabilmente smantellato ed il lavoratore divenne un
operaio: abbandonò cioè tutte le altre attività che nell'impresa familiare continuava a svolgere, in particolare quella agricola, ed ebbe nella fabbrica il suo unico impiego. Inoltre cominciò ad eseguire solo l'operazione parziale affidatagli sulla base di una crescente
divisione del lavoro (p. 448) che, mentre rendeva sempre più complesso da un punto di vista tecnico l'insieme del processo produttivo, semplificava le operazioni in cui era suddiviso. Come scrive lo storico americano David S. Landes, l'operaio, separato dal mezzo di produzione, fu ridotto ad essere non più che "una 'mano'. A quasi tutti poi, la macchina impose una nuova disciplina. La filatrice non poté più far girare la sua ruota e il tessitore lanciare la sua spola a casa, senza controlli, l'una e l'altro nelle ore che preferivano; adesso il lavoro doveva essere svolto in una fabbrica, al ritmo stabilito da un attrezzo instancabile e inanimato, nell'ambito di una schiera numerosa di operai che doveva cominciare, sostare e smettere all'unisono - tutti sotto l'occhio attento di sorveglianti che avevano, per assicurare la solerzia dei lavoranti, mezzi di coercizione morale, pecuniaria, e a volte anche fisica. La fabbrica era un nuovo genere di prigione; e l'orologio un nuovo genere di carceriere".
Il sistema di fabbrica trasformò, insieme a quella interna ai luoghi di produzione, anche l'organizzazione territoriale del lavoro e ridisegnò con essa l'immagine topografica e architettonica delle città e il paesaggio. Infatti l'attività lavorativa si concentrò progressivamente nei centri urbani che crebbero in misura considerevole secondo tipologie edilizie di tipo intensivo, mentre anche la campagna circostante modificava le sue colture in funzione di una popolazione urbana in forte aumento. Manchester, che divenne il più importante centro dell'industria cotoniera, sestuplicò la sua popolazione tra il 1760 e il 1830.
A questo insieme di trasformazioni si associa usualmente la nascita del
proletariato industriale. La sua formazione fu lenta e complessa. Sarebbe infatti riduttivo e semplicistico pensare ad un processo automatico di espulsione dei contadini dalle campagne in seguito alla rivoluzione agricola. In realtà, nelle prime fasi della rivoluzione industriale anche la popolazione extraurbana continuò ad aumentare e l'esodo verso le città fu assai meno improvviso di quanto si sia a lungo ritenuto. Infatti l'esistenza di una vasta legislazione di protezione dei poveri (le Poor Laws,
15.7), legando gli indigenti ai sussidi elargiti dalle loro parrocchie, ostacolava la mobilità della manodopera. A esse si aggiunse in seguito lo Speenhamland System (1795) che, prevedendo l'integrazione con fondi pubblici dei salari troppo bassi, rallentò ulteriormente la formazione di un libero mercato del lavoro. Accanto a questi fattori oggettivi di rigidità, si deve tener conto anche della resistenza dei lavoranti a domicilio, degli artigiani e dei contadini ad accettare ritmi e modalità di lavoro che avrebbero comunque sconvolto le loro abitudini di vita, le loro tradizioni e la loro stessa identità sociale.
In effetti l'avvento del sistema di fabbrica impose condizioni di lavoro molto gravose, che prevedevano orari oscillanti fra le dodici e le sedici ore giornaliere. La semplificazione del processo produttivo rese possibile il largo impiego, soprattutto nell'industria tessile, di donne e bambini che furono sottoposti a livelli disumani di sfruttamento. La condizione operaia era caratterizzata dalla estrema precarietà del posto di lavoro ed era inoltre aggravata da tutti i problemi connessi al processo di inurbamento. Gli operai erano costretti ad abitare in situazioni di sovraffollamento, in case fatiscenti e in pessime condizioni igieniche, potendo contare su un'alimentazione povera in quantità e qualità.
La formazione dei grandi agglomerati di popolazione urbana e le nuove modalità di aggregazione sociale rappresentate dalla fabbrica e dal quartiere operaio, da un lato resero più omogenei bisogni e condizioni di vita, dall'altro, attraverso l'intensificarsi dei contatti, diffusero la consapevolezza di un destino comune. Questi furono i presupposti per il sorgere di forme nuove di analisi e di azione politica. Tuttavia la consapevolezza del processo di trasformazione in atto nelle condizioni di lavoro e nel ruolo sociale dei lavoratori maturarono inizialmente negli strati tradizionali degli artigiani e non fra i nuovi operai di fabbrica.
Fu tra i lavoranti a domicilio, gli artigiani e i giornalieri del settore tessile che si diffuse il
luddismo, una delle prime manifestazioni di opposizione sociale. Questo movimento, organizzato in segrete e disciplinate "bande di guerriglia", prese il nome dal leggendario tessitore Ned Ludd che nel 1779 avrebbe distrutto un telaio. I luddisti contrastavano il diffondersi della prima meccanizzazione (come la navetta volante o la jenny) adottando come principale, anche se non unica, forma di lotta la distruzione delle macchine, nel cui impiego veniva individuata la causa fondamentale della disoccupazione e dei bassi salari. In questa elementare protesta trovavano espressione soprattutto il rifiuto del nuovo ordinamento della produzione e delle condizioni di vita che a questo si accompagnavano, ma anche la reazione alla politica governativa dei primi anni dell'800, improntata alla repressione di ogni fermento e di ogni spinta associativa dei ceti subalterni. La durissima legislazione penale inglese non solo contro i distruttori di macchine, ma contro qualsiasi forma di organizzazione, di sciopero e di rivendicazioni salariali (che era stata definita a più riprese dal 1725 in poi) venne ulteriormente inasprita nel 1812 con l'introduzione della pena di morte contro i luddisti.
Le agitazioni luddiste, che raggiunsero l'apice nel 1811-12, lasciarono il posto a nuove forme di organizzazione come le società di mutuo soccorso o le leghe di categoria che, accanto ad obiettivi di carattere strettamente sindacale, cominciarono ad avanzare richieste di riconoscimento dei diritti politici.
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