19.7 Continuità rivoluzionaria e tentativi di stabilizzazione: 1794-97
Il maggiore problema che i termidoriani (così venne chiamato il gruppo dirigente uscito dal colpo di Stato del 9 termidoro) dovettero affrontare fu quello derivante dalla necessità di conciliare lo smantellamento delle strutture della dittatura giacobina e l'apertura alle esigenze della società civile con la sopravvivenza del ceto politico rivoluzionario. Nell'agosto 1794 fu attenuato l'accentramento dell'esecutivo e abrogata la legge del 22 pratile. L'abolizione di ogni sovvenzione ai culti introdusse la separazione dello Stato dalla Chiesa, ponendo fine a una lunga politica di intervento pubblico in campo religioso.
Decine di migliaia di sospetti furono liberati e, a dicembre, la Convenzione reintegrò i girondini superstiti. I club giacobini vennero chiusi. Contro il movimento popolare e le sue organizzazioni si scatenò la jeunesse dorée ("gioventù dorata") monarchica e alto-borghese: protetta e tollerata dai moderati della Convenzione, fu protagonista di sanguinose cacce al giacobino e al sanculotto. Elegante e violenta, questa gioventù fu l'emblema di un rilancio vitalistico contro l'austerità e le virtù repubblicane, ma anche l'espressione, ostentata e arrogante, dell'ascesa dei nuovi ceti arricchiti con la speculazione e le forniture belliche.
Con la cancellazione del maximum (dicembre '94) si ritornò alla libertà economica. Ma la brusca impennata dei prezzi che ne seguì diede nuovo incremento all'inflazione, già gravissima a causa della svalutazione dell'assegnato sceso dal 30% all'8% del suo valore nominale, nel periodo tra il luglio '94 e il marzo '95. Come ogni crisi inflazionistica, anche quella del '95 arricchì gli speculatori e impoverì le classi popolari urbane, già colpite da un durissimo inverno. A Parigi i sanculotti si mobilitarono nuovamente, ma, indeboliti dall'abolizione della struttura organizzativa delle sezioni (disposta durante il Terrore) e privi di una guida politica, furono facilmente sconfitti (giornate di germinale e pratile, aprile e maggio '95). La repressione fu affidata all'esercito, che per la prima volta dall'inizio della rivoluzione marciò sui quartieri popolari e disarmò i sanculotti. Nel Mezzogiorno e nel Sud-est infuriò il Terrore bianco (così detto dal colore della bandiera borbonica) con vendette, massacri e repressioni nei confronti dei giacobini e dei preti costituzionali.
Il processo di stabilizzazione interna venne consolidato dai successi militari ai quali seguirono, fra aprile e luglio 1795, una serie di trattati di pace, con la Prussia (allora impegnata in Polonia), l'Olanda (divenuta Repubblica batava), il Granducato di Toscana e la Spagna. Ma la guerra rimaneva aperta con l'Austria e l'Inghilterra.
Contemporaneamente la Convenzione si dedicò all'elaborazione di un nuovo testo costituzionale che doveva conferire stabilità al nuovo assetto politico borghese della Francia. La
Costituzione dell'anno III (1795) riprese in molti punti quella del '91 e soprattutto accentuò il carattere censitario del sistema elettorale, riducendo a 30.000 gli elettori di secondo grado che eleggevano due Camere (i cui membri si rinnovavano annualmente per un terzo), il Consiglio degli Anziani (250 membri) e il Consiglio dei Cinquecento. Il sistema bicamerale fu introdotto per attribuire agli Anziani un potere di controllo sui Cinquecento. Il potere esecutivo fu affidato a un
Direttorio di 5 membri che nominava i ministri. Anche alla Costituzione del '95 fu premessa una Dichiarazione dei diritti, arricchita questa volta da un elenco di doveri, di contenuto evangelico e moraleggiante. Fra i doveri, particolarmente significativo fu quello relativo alla giustificazione del principio di proprietà: "È sul mantenimento della proprietà che riposano la coltivazione delle terre, tutte le produzioni, ogni mezzo di lavoro, e tutto l'ordine sociale" (art. 8). I membri della Convenzione affermarono nel disegno costituzionale che la Francia doveva essere governata dai "migliori", dai "più istruiti e dai più interessati al mantenimento delle leggi", ossia da quanti "possedevano una proprietà". Quella del '95 fu dunque una costituzione consapevolmente antidemocratica e attentissima ad evitare i rischi di una dittatura.
Pochi giorni prima dell'inizio del dibattito sulla costituzione, un contingente di emigrati, sbarcato sulle coste della Bretagna, a Quiberon, era stato prontamente sconfitto. Come risposta alla minaccia monarchica - mantenuta viva anche nelle regioni a nord della Vandea dalla guerriglia degli chouans ("barbagianni", dal soprannome di un loro capo) -, la Convenzione decretò che i 2/3 dei futuri deputati dovessero provenire dai propri ranghi. Contro questi decreti - che intendevano garantire la continuità del gruppo dirigente rivoluzionario - fu organizzata a Parigi, con appoggio di larghi settori della stampa, un'insurrezione realista. Il 13 vendemmiaio (5 ottobre) 1795, truppe governative (integrate da "patrioti territoristi" prontamente scarcerati), comandate fra gli altri da Napoleone Bonaparte (
19.9), repressero a cannonate la sommossa.
A conferma del debole radicamento delle istituzioni rivoluzionarie e repubblicane nel paese, le successive elezioni non videro eletti tutti gli ex membri della Convenzione previsti, che furono quindi cooptati. Nei Consigli entrò invece un gran numero di rappresentanti moderati o criptomonarchici.
La debolezza del regime costrinse il Direttorio, insediato nel novembre '95, a dare l'avvio a una politica volta a cercare consensi - a seconda delle circostanze - nella sinistra giacobina o tra la destra filo-monarchica. Questa strategia "pendolare" consentì una ripresa di attività alla stampa e ai club legati alla tradizione giacobina. Fra i gruppi più radicali emerse in questo periodo quello che faceva capo a François-Noël Babeuf, detto Gracco, e al giornale "Le Tribun du peuple" ("Il Tribuno del popolo"). Babeuf teorizzava l'uguaglianza, la comunità dei beni, l'abolizione della proprietà della terra. Posizioni radicalmente sovvertitrici per un regime fondato sul privilegio dei proprietari. Un tentativo insurrezionale (la
congiura degli Eguali) organizzato da Babeuf e dai suoi seguaci fu facilmente sventato (maggio 1796). Condannato a morte Babeuf sarà giustiziato nel maggio 1797. Fra i capi della congiura figurava anche il toscano Filippo Buonarroti, la cui esperienza ebbe grande rilievo nell'ispirare le prime società segrete del movimento nazionale democratico in Italia.
Nel 1796 un problema ancora irrisolto era quello monetario, strettamente legato a quello dell'inflazione, che aveva moltiplicato di 50 volte il costo della vita rispetto al 1790. Fu decisa infine l'abolizione dell'assennato e creata una nuova cartamoneta, il mandato territoriale, valido per l'acquisto di beni nazionali (marzo '96). Ma anch'esso si rivelò un fallimento e meno di un anno dopo (febbraio '97) si dovette tornare alla moneta metallica.
Mentre gli eserciti della Repubblica avevano ripreso vittoriosamente l'offensiva in Europa, nuove difficoltà interne si presentarono all'indomani delle elezioni tenute nella primavera del '97 per il rinnovo di 1/3 dei Consigli. Il successo della destra aveva consentito ai monarchici di occupare con Pichegru la presidenza del Consiglio dei Cinquecento e con Barthélemy uno dei posti nel Direttorio, nel quale Carnot (già membro del Comitato di salute pubblica) era ormai spostato su posizioni conservatrici. Il 18 fruttidoro (4 settembre) 1797 la maggioranza del Direttorio - i triumviri Barras, Reubell e La Revellière-Lépaux - attuò quindi un colpo di Stato: furono cassate le elezioni, deportati in Guiana (la "ghigliottina secca") Barthélemy, Pichegru con una cinquantina di deputati e numerosi giornalisti, introdotti severi controlli sulla stampa, nuovamente perseguitati i preti refrattari. Decisivo per il colpo di Stato era stato l'appoggio delle truppe del generale Hoche e l'intervento a Parigi del generale Augereau, inviato da Bonaparte (allora impegnato in Italia,
19.9). La sopravvivenza del regime e la continuità rivoluzionaria erano ormai affidate non solo alle vittorie degli eserciti ma al diretto intervento dei generali vittoriosi nella vita politica.
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