19.8 La rivoluzione francese e l'Europa
Gli avvenimenti francesi furono costantemente seguiti dall'opinione pubblica e dai governi di tutta Europa. Un'Europa partecipe e ansiosa, talora entusiasta, più spesso intimorita. Se all'inizio i ceti illuminati guardavano con favore al rovesciamento dell'assolutismo e a un possibile sviluppo costituzionale all'inglese, successivamente lo scoppio della guerra e soprattutto l'uccisione del re, ridussero drasticamente il campo dei sostenitori. Il Terrore divise ulteriormente i fautori della rivoluzione, separando le correnti liberali e moderate da quelle democratiche.
Ai generici atteggiamenti di entusiasmo o ripulsa per quanto avveniva in Francia, seguirono prestissimo posizioni più meditate che diedero luogo a una larghissima pubblicistica. Il merito di aprire il dibattito spettò allo scrittore politico inglese, di origine irlandese,
Edmund Burke (1728-1797). Politico whig, nel novembre 1790 pubblicò le Riflessioni sulla rivoluzione in Francia, una durissima requisitoria contro l'astrattezza antistorica dei princìpi dell'89 e in difesa della tradizione ("quando si sopprimono antiche opinioni e regole di vita la perdita è incalcolabile. Da quel momento non abbiamo più una bussola che ci guidi"). Alle origini della rivoluzione vedeva l'avidità dei ceti abbienti e la congiura dei filosofi. L'accusa all'Illuminismo avrebbe avuto larghissima fortuna in tutto il pensiero politico successivo. Ma più significativa era la contrapposizione instaurata con la pacifica rivoluzione inglese del 1688-89. Burke poneva così il problema di una superiorità dello sviluppo politico inglese, risultato della continuità storica, su quello francese fondato sulla frattura con il passato.
La rivoluzione non costituì solo uno spartiacque del pensiero politico, ma determinò anche un nuovo dinamismo nei rapporti politici in tutta Europa. Da un lato, i governi si impegnarono a spegnere e reprimere i focolai di protesta o di dissenso politico e sociale nel timore che l'esempio francese dilagasse; dall'altro, i nuclei di opposizione presero coscienza di sé e dei propri obiettivi. Quella stessa struttura di comunicazione (la stampa, le logge massoniche, ecc.), che aveva dato luogo alla feconda circolazione delle idee illuministe, agì anche per i princìpi rivoluzionari. Princìpi che la Francia sostenne, dal 1792, con una vigorosa propaganda ideologica.
L'influenza della rivoluzione fu particolarmente forte (e precoce) nei paesi limitrofi, dove poté agire come elemento di squilibrio dei rapporti interni, sommandosi a esigenze autonomistiche o a conflitti già in corso. Tali furono i casi del Belgio e dell'Olanda. In
Belgio dei due partiti che avversavano gli austriaci, quello minoritario e democratico, legato agli ambienti borghesi, sollecitò e ottenne il sostegno della Francia e in seguito l'annessione (1793 e 1795). Anche nelle
Province Unite i patrioti ostili al conservatorismo degli Stathouder orangisti erano in minoranza e solo con l'appoggio diretto della Francia riuscirono a imporre nel 1795 la costituzione della Repubblica batava.
In
Italia il centro più attivo di organizzazione rivoluzionaria si costituì a Oneglia, in Liguria, sotto la diretta influenza dell'occupazione francese e la guida di Filippo Buonarroti (
19.7) che vi agiva come commissario della Convenzione. Negli altri Stati italiani, a Torino, a Bologna, a Napoli e in Sicilia, i club di giacobini (termine che qui indicava genericamente tutti i sostenitori della rivoluzione) furono duramente combattuti dalle autorità di governo che ne condannarono a morte i maggiori esponenti (1794). Da questi primi nuclei si svilupparono altri gruppi che appoggiarono l'intervento diretto francese nel 1796-97.
L'espansione rivoluzionaria in Europa fu sempre più affidata alle baionette dell'esercito, non solo perché senza l'appoggio militare francese nessun nuovo regime sarebbe stato in grado di reggersi, ma anche perché l'esercito, più di ogni altra istituzione, era profondamente legato - dai soldati agli ufficiali - ai princìpi e alla tradizione rivoluzionaria.
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