20. Napoleone e l'Europa
20.1 Il consolato: stabilità interna e pacificazione internazionale
Il successo di Napoleone Bonaparte nella conquista del potere poggiava su un elemento di fondo: il ruolo dell'esercito nella vicenda rivoluzionaria. Dei dieci anni fra l'89 e il '99, sette erano stati anni di guerra. Dal momento in cui il popolo francese si era identificato con la nazione in armi e questa identificazione era divenuta uno degli elementi portanti della mobilitazione politica, il controllo dell'esercito e delle sue possibilità di vittoria divenne la fonte principale del potere e la garanzia di una stabilizzazione delle conquiste rivoluzionarie. Napoleone rimarrà indissolubilmente legato ai successi militari e alla necessità di rinnovarli. Ma proprio il dominio francese sull'Europa susciterà per contrasto l'emergere di forze nazionali che, unite a quelle tradizionali degli Stati, decideranno il crollo dell'Impero napoleonico.
L'ascesa al potere di Bonaparte venne sancita dalla nuova
Costituzione dell'anno VIII. Preparata in poco più di un mese, entrò in vigore il 25 dicembre 1799. Nella redazione prevalsero le direttive e la volontà di Bonaparte. Il potere esecutivo fu infatti rafforzato ben oltre gli originari propositi di Sieyes e fu interamente attribuito al
Primo console, Napoleone Bonaparte. Gli altri due nuovi membri del consolato, Cambacérès e Lebrun, ebbero solo un ruolo consultivo. Il Primo console deteneva anche l'iniziativa legislativa (ossia il diritto di proporre leggi), unitamente a un organismo tecnico di sua nomina, il Consiglio di Stato. I residui poteri legislativi erano affidati a tre assemblee: il Tribunato (100 membri) che discuteva le leggi senza poterle votare; il Corpo legislativo (300 membri) che le votava senza poterle discutere, e il Senato (60 membri nominati a vita) che ne controllava, prima della promulgazione, la costituzionalità. Il Senato aveva il potere, d'accordo con i consoli, di modificare la costituzione con un "senatoconsulto". I senatori furono nominati in maggioranza dai consoli uscenti, in particolare da Sieyes, e per il resto attraverso cooptazione. I componenti del Tribunato e del Corpo legislativo dovevano essere scelti dal Senato in una lista nazionale di notabili. Tale lista era il risultato di tre successivi gradi di elezione a livello comunale, dipartimentale e nazionale; soltanto alla prima partecipavano tutti i cittadini. Con questo complesso meccanismo la Costituzione intendeva contemperare il suffragio universale con la tutela esercitata dai vertici dello Stato sul corpo sociale. Il sistema non entrò mai compiutamente in vigore e la prima nomina (nell'anno VIII) fu effettuata direttamente dal Primo console e dal Senato.
Si venne di fatto instaurando un governo dittatoriale che ruotava intorno alla figura di Bonaparte, propostosi come nuovo despota illuminato, restauratore dell'ordine e delle libertà, l'unico in grado di concludere la rivoluzione. Alla costruzione di questa immagine contribuirono, almeno in una prima fase, gli intellettuali del gruppo degli idéologues, eredi della tradizione illuminista, che furono inseriti nel Tribunato (Daunou, Say) e nel Senato (Volney, Destutt de Tracy, Cabanis e Roederer). Ma Napoleone mirò soprattutto a garantirsi un ampio consenso di base - al di là dell'esercito - nel paese. Con questo obiettivo, il ricorso al plebiscito fu uno dei fattori costitutivi del regime napoleonico. Il plebiscito era inteso infatti come ricerca di una delega diretta da parte del popolo, senza le mediazioni della rappresentanza. Nella prima di queste consultazioni popolari, la Costituzione dell'anno VIII ricevette 3 milioni di "sì" e poco più di 1500 "no". Ma al voto (che era palese) non parteciparono, nonostante le pressioni della polizia, oltre 4 milioni di cittadini. Molti "vecchi" rivoluzionari si espressero favorevolmente, ma il totale dei "sì" venne ottenuto aggiungendovi in blocco i voti dell'esercito che in realtà non aveva votato.
La struttura istituzionale della nuova Costituzione vide il coinvolgimento del personale politico rivoluzionario e il recupero, all'interno del sistema, di molte figure appartenenti all'antico regime. Questo processo di integrazione si attuò soprattutto grazie alla riforma amministrativa, la più duratura delle realizzazioni napoleoniche, rimasta sostanzialmente in vigore per oltre 150 anni. I
prefetti, rappresentanti del governo in ogni dipartimento (e in questo eredi degli intendenti dell'ancien régime), furono il principale strumento della centralizzazione burocratica e amministrativa. L'accentramento, avviato già nel '93-'94 in periodo giacobino, trovò con Napoleone, nel febbraio 1800, la sua definitiva messa a punto. Il prefetto dipendeva direttamente dal Primo console (e poi dall'imperatore); i suoi compiti erano politici oltre che amministrativi. Applicava le direttive del governo ed esercitava il controllo sullo "spirito pubblico" e quindi soprattutto delle opposizioni. I prefetti furono le "masse di granito" (l'immagine è dello stesso Napoleone) su cui si edificò il regime napoleonico.
Collegata all'esigenza di formare un capace ceto di amministratori e di tecnici fu l'attenzione prestata all'istruzione pubblica, media e universitaria. Fu potenziata l'Ecole polytechnique come stadio preparatorio alla specializzazione nei settori minerari, dell'artiglieria e delle costruzioni. Ma la struttura fondamentale furono i licei (creati nel 1802), che avevano il compito di fornire una cultura generale, soprattutto classica (sei anni di latino e quattro di greco) e letteraria, al nuovo ceto dirigente. Nei loro programmi furono ripresi molti contenuti didattici tipici della scuola d'ancien régime, rovesciando l'apertura verso le scienze che era prevalsa nelle scuole "centrali" istituite dalla Convenzione. I licei napoleonici prevedevano che una parte di alunni fossero "interni"; per loro vigeva una rigida disciplina di tipo militare (con divise, marce e addestramento). Nel 1806 Napoleone introdusse il monopolio statale dell'istruzione universitaria, mentre le scuole private secondarie furono sottoposte ad un rigido controllo. L'intervento nel campo scolastico non fu che uno degli aspetti dell'enorme dilatazione delle competenze e attribuzioni dello Stato realizzata in questo periodo. Lo Stato fu investito dei compiti di assistenza sociale e sanitaria nonché del controllo dei mendicanti (effettuato con i "depositi di mendicità", istituiti a partire dal 1767 e ora potenziati, o con le "officine di carità"). La burocrazia si dedicò con apposite inchieste a una rilevante raccolta di dati statistici, economici e sociali, che dovevano servire di base all'intervento pubblico (e che sono divenute una preziosissima fonte per gli storici). Lo Stato come lo conosciamo oggi si struttura in epoca napoleonica.
La riorganizzazione politica e amministrativa poté procedere senza ostacoli perché furono sistematicamente combattute le opposizioni più radicali, di destra e di sinistra. La guerriglia degli chouans (o chouannerie) e quella vandeana furono progressivamente sconfitte. I giacobini più accesi - accusati senza fondamento di un attentato al Primo console - vennero deportati alle Seychelles. Ma il consolidamento del potere napoleonico era legato al raggiungimento della pace. E la pace passava inevitabilmente per una ripresa della guerra. Nella primavera del 1800, mentre le truppe del generale Moreau attaccavano in Germania, Napoleone varcava le Alpi e, dopo aver riconquistato Milano, riuscì a prevalere sugli austriaci a Marengo (giugno 1800). Ma l'Austria, soltanto dopo ulteriori sconfitte, si adattò a firmare la pace di Lunéville (febbraio 1801), che riconosceva la ricostituzione della Repubblica cisalpina e la cessione definitiva alla Francia della riva sinistra del Reno.
Dopo che la Russia si era ritirata dalla coalizione antifrancese a causa di contrasti commerciali con gli inglesi, il conflitto rimaneva ancora aperto con la sola Inghilterra. Le dimissioni del più strenuo avversario della Francia, il primo ministro William Pitt il Giovane, consentirono un avvio delle trattative che si conclusero nel marzo 1802 con la pace di Amiens. La Francia restituiva l'Egitto all'Impero ottomano, mentre l'Inghilterra riconosceva le conquiste francesi in Europa, ma doveva riconsegnare Malta (sottratta ai francesi nel 1800) ai cavalieri dell'ordine di San Giovanni. Con Amiens ebbe inizio l'unico, e del resto brevissimo, periodo di pace tra Francia e Inghilterra.
L'eliminazione delle opposizioni politiche interne e una certa disponibilità al rientro degli emigrati non parvero sufficienti a garantire un equilibrio del potere che Napoleone riteneva potesse essere assicurato solo dalla ricomposizione della frattura con la Chiesa di Roma. Questo obiettivo fu raggiunto con il
Concordato del luglio 1801, con il quale il nuovo pontefice Pio VII riconosceva la Repubblica francese e la vendita dei beni nazionali. Tutti i vescovi, sia costituzionali che refrattari, furono sostituiti da altri, nominati dal Primo console e insediati dal papa. I vescovi dovevano giurare fedeltà alla Repubblica, ma era loro concesso nominare direttamente i parroci (che quindi cessavano di essere elettivi). Da parte sua lo Stato si assumeva l'onere della retribuzione del clero.
L'atmosfera politica favorevole seguita al Concordato, consentì a Bonaparte di proporre un plebiscito sulla trasformazione della sua carica in
consolato a vita. La consultazione popolare (agosto 1802) registrò un numero di consensi (3.500.000 circa) maggiore di quelli espressi nel 1800, ma anche i dissensi aumentarono (8300 circa), rimanendo tuttavia una percentuale modestissima del totale. Contemporanea al plebiscito fu la promulgazione di un senatoconsulto che modificava la Costituzione (noto come
Costituzione dell'anno X) ed estendeva i poteri del Primo console, al quale era attribuita anche la facoltà di designare il proprio successore. Il sistema elettorale venne modificato sostituendo alle liste dei notabili i collegi elettorali, i cui componenti erano nominati a vita fra i 600 cittadini più tassati di ogni dipartimento: venne così reintrodotto un marcato criterio censitario, che era invece assente dalla Costituzione dell'anno VIII.
Nel marzo 1804 la promulgazione del
Codice civile costituì il suggello dell'opera riformatrice di Napoleone. Risultato dell'opera di quattro giuristi, il progetto era stato discusso dal Consiglio di Stato, spesso alla presenza di Napoleone, il quale contribuì notevolmente a semplificarlo. Obiettivo del Codice fu quello di salvaguardare e di dare certezza giuridica alle più importanti conquiste dell'89, quelle relative all'abolizione dei diritti feudali, alle libertà civili, alla difesa della proprietà. Nel diritto di famiglia venne mantenuto il divorzio (p. 550); in campo successorio l'accesso di tutti i figli all'eredità aboliva definitivamente i privilegi di primogenitura, che la consuetudine riconosceva non solo alle famiglie nobili ma, in molte regioni, anche a quelle di altri ceti sociali. Veniva così garantita la più ampia circolazione delle proprietà, uno dei capisaldi del liberismo economico e del pensiero riformatore settecentesco.
Le strutture politiche e amministrative e la riforma giuridica contribuivano a definire un ceto dirigente composto da notabili e proprietari terrieri, strettamente legati a un regime che impersonava la loro ascesa recente e la riconciliazione con il passato. In questo senso, gli anni del consolato realizzarono il capolavoro politico di Bonaparte.
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