20.3 Trasformazioni e contrasti nell'Europa napoleonica
L'Impero napoleonico era fondato sulla supremazia e sul dominio militare. Una supremazia che poggiava non solo sulle doti strategiche e di comando di Napoleone, ma anche sull'ormai consolidata struttura di un esercito di cittadini ideologicamente e politicamente motivati. Gli eserciti messi in campo dalle altre potenze europee, composti da mercenari e da "sudditi", erano stati sistematicamente sconfitti dall'audacia e dall'entusiasmo rivoluzionario dei francesi. Le leve in massa del '93-'94 avevano introdotto il principio della coscrizione obbligatoria, definita dalla legge Jourdan-Delbrel del settembre 1798. Altrove invece, come in Prussia dove era stato applicato nel 1733, il servizio obbligatorio era stato progressivamente abbandonato. Il sistema francese, secondo il quale ogni cittadino era anche un soldato, dimostrò, nonostante le numerose diserzioni, buone capacità di funzionamento, grazie anche ad alcuni importanti correttivi che escludevano dall'arruolamento gli uomini sposati e consentivano ai più agiati di pagarsi un sostituto. Ciò favorì i ceti borghesi che poterono così sottrarsi al servizio militare. In ogni caso la Francia, dopo la Russia il paese più popoloso d'Europa, fornì oltre 2 milioni di soldati fra il 1800 e il 1814.
Modi e atteggiamenti "democratici", retaggio delle origini rivoluzionarie, si mantennero vivi in un esercito che offriva molte possibilità di carriera e rimaneva la principale via di ascesa sociale. Dall'esercito provenivano infatti una parte rilevante del gruppo dirigente del regime napoleonico e il 59% della nuova nobiltà istituita nel 1808. La creazione di un ceto nobiliare non fu che l'ultimo atto del progressivo costituirsi di una gerarchia sociale dipendente dall'onore delle armi e dal legame personale con l'imperatore. La nobiltà divenne automaticamente un attributo delle più elevate cariche civili, sarà ereditaria e legata a ben definiti livelli di ricchezza. Come estrazione sociale, per il 58% era costituita da borghesi; il 22,5% proveniva dall'antica nobiltà e il 19,5% dai ceti popolari.
Questa nuova gerarchia - che univa adesione al regime, meriti militari e ricchezze - fu estesa tendenzialmente a tutto il Grande Impero. Ma non ebbe, nell'Europa napoleonica, lo stesso significato di rottura e di ascesa sociale che aveva avuto in Francia. Nei paesi conquistati o annessi Napoleone si appoggiò assai più a quei settori delle forze tradizionali che mostrarono la loro disponibilità a inserirsi nel nuovo sistema di potere. Più significativa, come fattore di trasformazione, fu l'estensione degli istituti giuridici (e in primo luogo del Codice civile) e dell'amministrazione napoleonica: tutti gli Stati "vassalli" adottarono il modello francese dello Stato secolare accentrato. Dappertutto la feudalità o i residui del regime feudale furono aboliti (ma in Germania i diritti reali furono soggetti a riscatto); espropriati e soppressi gli ordini religiosi, i beni ecclesiastici vennero messi in vendita per sanare il debito pubblico. Quasi ovunque questo rilevante passaggio di proprietà determinò un rafforzamento dei ceti già proprietari, soprattutto borghesi, ma anche nobiliari. Fra i contadini, solo i più agiati poterono inserirsi in questa operazione.
Nell'insieme il dominio napoleonico rappresentò un potente strumento di svecchiamento delle istituzioni e di mobilitazione della società civile. Ciò fu particolarmente importante per le zone più arretrate, come ad esempio il Regno di Napoli, dove la feudalità fu abolita nel 1806. Ma il consenso al nuovo regime fu sempre piuttosto modesto. I ceti contadini, influenzati dalla Chiesa, si mantennero ostili ad ogni brusco mutamento delle condizioni del mondo rurale che significasse accentuazione del dominio borghese; ma anche negli altri strati sociali si diffusero sentimenti di opposizione. Del resto la presa di coscienza della società civile indotta dalle nuove istituzioni, portava inevitabilmente a rifiutare la passiva accettazione dell'egemonia politica, militare ed economica della Francia. Tutti i tentativi di acquisire una certa autonomia all'interno del Grande Impero furono però destinati al fallimento: prevalsero sempre lo sfruttamento e le spoliazioni imposte dalla Francia. La durata del dominio napoleonico in Italia e in Germania non solo fu legata a una parziale coincidenza di interessi tra ceti dirigenti e nuovo regime, ma dipese soprattutto dall'originaria frammentazione delle strutture statali e dalla debolezza delle istituzioni politiche in quei paesi. Le nuove strutture amministrative, politiche e militari allargarono e modificarono le forme di partecipazione. Strati sufficientemente ampi compirono così significative esperienze (anche militari) che andavano al di là delle tradizionali dimensioni particolaristiche dei piccoli Stati e fecero maturare aspirazioni all'indipendenza nazionale. Aspirazioni che in qualche caso si tradussero in movimenti di opposizione.
Tutti gli Stati su cui si estendeva l'egemonia napoleonica dovettero accettare il blocco continentale e adattare la propria economia alle esigenze della Francia. Ciò significò, in particolare, difesa delle attività manifatturiere francesi, anch'esse danneggiate dalla riduzione delle esportazioni. Così l'industria della seta dell'Italia settentrionale soffrì, con un forte calo della produzione e degli addetti, la supremazia di Lione; e tutte le attività portuali in Italia (a Genova, Livorno, Trieste), nel Mare del Nord e nel Baltico furono drasticamente ridotte. Il mercato continentale non fu favorito dal blocco e lo sviluppo industriale non ne risultò avvantaggiato neppure in Francia, nonostante la messa a punto di alcune tecnologie sostitutive per i prodotti di importazione (come lo zucchero ottenuto dalle barbabietole). I divieti furono aggirati da un diffusissimo contrabbando; in qualche caso i Regni napoleonici cercarono di sottrarsi al blocco. Luigi, re d'Olanda, riaprì i porti al commercio, ma fu destituito da Napoleone, che nel 1810 annesse l'Olanda e tutta la costa tedesca fino alle foci dell'Elba e a Lubecca. L'Inghilterra attraversò una difficile crisi nel 1811-12, crisi monetaria e di sovraproduzione culminata nella fase più violenta del movimento luddista (
17.6).
Gli effetti generalmente depressivi del blocco continentale scontentarono tutti gli Stati e accrebbero l'ostilità contro la Francia, che non era in grado, nonostante gli ingenti sforzi, di controllare l'intero continente. In Spagna non riusciva a venire a capo della guerriglia (il termine nacque allora), né ad arginare la riconquista inglese. Anche la Sicilia, dove si erano rifugiati i Borbone di Napoli, occupata dagli inglesi, sfuggiva al dominio francese.
Nel 1812 la Costituzione che le Cortes di Spagna (ossia le antiche assemblee rappresentative) si diedero a Cadice (assediata dai francesi) e quella adottata in Sicilia (sotto l'influenza del comandante delle forze inglesi Lord Bentinck) furono due episodi di alternativa liberale e moderata al predominio del dispotismo napoleonico sul resto d'Europa. Ispirate entrambe al modello inglese (e quella spagnola anche alla Costituzione francese del '91), abolivano la feudalità, introducevano la separazione dei poteri, istituivano una monarchia costituzionale e un sistema elettorale censitario. In Sicilia la Costituzione fu espressione di una scelta dell'aristocrazia più avanzata, decisa ad adattarsi all'ascesa della borghesia terriera. Episodi di breve durata, le due Costituzioni diverranno, negli anni della Restaurazione, modelli e obiettivi per il movimento liberale.
Decisive invece per lo sviluppo di tutta la successiva storia tedesca e dei rapporti con la Francia, furono le riforme introdotte in Prussia dopo la umiliante disfatta di Jena e sotto la spinta di una rinascita intellettuale e ideologica fondata sul recupero della tradizione e dei valori tedeschi, che culminò nei Discorsi alla nazione tedesca (1807-8) del filosofo Johann Gottlieb Fichte. Le riforme economiche e sociali avviate nel 1807 dal barone von Stein abolirono la servitù della gleba, introdussero la libera circolazione e proprietà della terra, il libero accesso alle professioni. Più importanti, per il loro effetto immediato sulla potenzialità bellica, furono le riforme dell'esercito, tese a rinnovare il corpo degli ufficiali, ad abolire il durissimo sistema punitivo (in vigore dai tempi di Federico Guglielmo I, "re sergente") e soprattutto ad adottare il principio del servizio militare come dovere per ogni cittadino di difendere lo Stato. Non fu tuttavia introdotta la leva obbligatoria (gli accordi di Tilsit consentivano alla Prussia solo 42.000 soldati), ma fu applicato un criterio di addestramento e di rapido avvicendamento degli uomini che consentì di disporre di una larga riserva di truppe. Del resto il sovrano era contrario alla creazione di un esercito di popolo. Solo nel 1813, e per la sola durata della guerra, la leva divenne obbligatoria e il nuovo esercito territoriale prussiano (Landwehr), infiammato dal patriottismo e dal coinvolgimento della gioventù studentesca e degli intellettuali, fu un elemento determinante nella sconfitta di Napoleone.
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