20.4 La campagna di Russia e il crollo dell'Impero
Gli anni relativamente pacifici dal 1809 al 1812, la nascita di un erede (il Re di Roma, 1811) non sfociarono nella ricerca da parte di Napoleone di una pace definitiva e nel consolidamento dell'Impero. L'inesausta ostilità inglese, il conflitto con il papa, la ribellione spagnola e l'opposizione delle forze nazionali avevano creato ostacoli ormai insormontabili. La Russia si era sganciata dall'alleanza con la Francia, rivendicando una politica economica autonoma e la libertà di commercio per i paesi neutrali. Senza la Russia il blocco continentale, già in difficoltà, era destinato a fallire definitivamente.
Nel 1811 Napoleone cominciò a preparare la guerra contro la Russia senza presentire le difficoltà e i rischi dell'impresa. Atteggiandosi a novello Carlo Magno, ansioso di dominare tutta l'Europa, Napoleone aveva perso ormai ogni capacità di valutazione realistica. Il profondissimo disprezzo, che nutriva nei confronti degli uomini e delle esigenze di libertà dei popoli, lo rendeva cieco ai mutamenti che la sua stessa azione aveva suscitato. L'imponente esercito (circa 650.000 uomini) che iniziò le operazioni contro la Russia, agli inizi dell'estate 1812, non era più la Grande armata compatta del 1805, ma un insieme eterogeneo di forze di cui solo poco più della metà erano francesi. Vi erano polacchi, italiani, tedeschi, svizzeri e molti altri, per un totale di 20 nazioni e 12 lingue diverse. A questa debolezza si aggiungeva il fatto che le truppe erano equipaggiate solo per una breve campagna. I russi non si lasciarono agganciare e indietreggiarono facendo terra bruciata alle loro spalle. L'esercito napoleonico, abituato a vivere sullo sfruttamento dei paesi occupati, ebbe subito difficoltà di approvvigionamento. Solo a 100 km da Mosca i russi accettarono battaglia e furono sconfitti a Borodino (12 settembre); ma non fu uno scontro decisivo, come non lo fu pochi giorni dopo la conquista di Mosca, presto distrutta da un gravissimo incendio. Il rifiuto dello zar (che si sentiva investito della missione politica e religiosa di combattere quello che considerava l'Anticristo) a trattare e il pericolo di rimanere tagliato fuori dal resto d'Europa, costrinsero Napoleone a ordinare la ritirata (ottobre). Il freddo, il fango, la neve e gli attacchi della cavalleria cosacca trasformarono la ritirata in una rotta. Il passaggio del fiume Beresina (novembre) riuscì fra enormi difficoltà a prezzo di fortissime perdite. A dicembre restavano a Napoleone poco più di 100.000 uomini.
Nel 1813 tutta l'Europa era in armi contro la Francia. I tedeschi preparavano la loro "guerra di liberazione" (Befreiungskrieg). Si costituì la VI coalizione fra Inghilterra, Russia e Prussia, cui si aggiunse anche l'Austria, dopo un inutile tentativo di mediazione del suo ministro degli Esteri Metternich. La guerra culminò a Lipsia nella battaglia delle nazioni (16-18 ottobre 1813), in cui forze soverchianti sconfissero i francesi. A essa fece seguito l'avanzata degli alleati nel cuore della Francia: Parigi fu occupata alla fine del marzo 1814. Il 6 aprile Napoleone abdicò e i vincitori gli assegnarono il possesso dell'isola d'Elba. Sul trono di Francia tornò un Borbone, Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato, che concesse una Costituzione con un sistema elettorale a suffragio molto ristretto. Il Congresso di Vienna avviò contemporaneamente la ridefinizione dei confini d'Europa.
Ma l'avventura napoleonica non era finita. Il malcontento degli strati popolari nei confronti dei Borbone - i contadini temevano il ripristino dei prelievi feudali, i lavoratori urbani avevano visto peggiorare le loro condizioni - e il malessere di tanti soldati e ufficiali, esclusi dall'esercito, convinsero Napoleone che un suo ritorno in Francia avrebbe avuto buone probabilità di successo. E in effetti il suo sbarco sulle coste francesi (il 1° marzo 1815) fu seguito da una marcia trionfale verso Parigi, abbandonata da Luigi XVIII. Napoleone riformò la Costituzione imperiale dell'anno XII, dando spazio alle esigenze liberali, e ricorse di nuovo al plebiscito per approvare questa iniziativa. Cercò l'appoggio dei notabili, non comprendendo che essi miravano soprattutto a garantire la propria sopravvivenza, non quella del regime napoleonico. Rifiutò invece di cercare un consenso fra le masse popolari, da cui era radicalmente estraneo, e che forse gli avrebbero consentito di arginare con più decisione i dissidi interni e la minaccia esterna. Le potenze europee erano del resto decisissime a spazzarlo via.
Napoleone non riuscì a dividere e affrontare separatamente le forze della VII coalizione che puntavano sulla Francia. A
Waterloo (in Belgio), il 18 giugno, la resistenza degli inglesi di Wellington consentì ai prussiani di intervenire e sconfiggere duramente i francesi. Fu l'ultima battaglia di Napoleone. Consegnatosi un mese dopo agli inglesi, sarà deportato sull'isola di Sant'Elena nell'Atlantico (dove morì il 5 maggio 1821). L'illusione era durata solo "cento giorni". E proprio mentre Napoleone entrava nel mito, Gioacchino Murat volle ripeterne l'ultima impresa. Il re di Napoli, dopo aver cercato inutilmente di salvare il suo regno schierandosi (1814) contro la Francia, aveva poi cambiato fronte, ma, dopo aver lanciato da Rimini un proclama a favore dell'indipendenza e unità italiana (1815) , era stato sconfitto dagli austriaci. Murat tentò allora di sollevare la popolazione dell'Italia meridionale con uno sbarco a Pizzo Calabro. Ma fu prontamente catturato e fucilato nell'ottobre 1815.
"Io non agisco che sull'immaginazione della nazione" aveva detto Napoleone nel 1800, e così sarà anche dopo la sua definitiva sconfitta. "L'immaginazione popolare - ha scritto lo storico Georges Lefebvre - fece di lui l'eroe della Rivoluzione. Sognò un Impero universale, e per i francesi rimase il difensore delle 'frontiere naturali', mentre i liberali d'Europa lo contrapposero ai re della Santa Alleanza come difensore delle nazionalità". Quella contraddizione tra rivoluzione e dispotismo, che aveva contrassegnato Napoleone e quasi un ventennio di successi politici e militari, continuò anche nella sua leggenda.
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